CANZONE D'AUTRICE

Paola Turci: «Mi volevano seduta. Mi sono alzata in piedi e ho reagito cantando»

L'artista romana di scena a Botticino al Teatro Centro Lucia sabato 17 dicembre dalle 21
Paola Turci:  romana, 37 anni di carriera e 17 album pubblicati
Paola Turci: romana, 37 anni di carriera e 17 album pubblicati
Paola Turci:  romana, 37 anni di carriera e 17 album pubblicati
Paola Turci: romana, 37 anni di carriera e 17 album pubblicati

«Mi amerò lo stesso»: Paola Turci porterà il monologo che s’intitola come il suo libro (come un dialogo con l’anima attraverso il vissuto) a Botticino, al Centro Lucia, sabato 17 dicembre (dalle 21). Quasi quarant'anni di carriera per la musicista romana, che al teatro è approdata per portare in scena il monologo tratto dal suo libro. Personalità versatile, indole forte che come la grande Ornella Vanoni è riuscita a imporsi in un mondo musicale prigioniero di retaggi maschilisti come e più di altri ambiti della quotidianità.

Un inno all’amore inteso anche come capacità di reagire alle difficoltà di ogni giorno?
È la conquista delle conquiste, questa. Parliamo sempre d’amore, io stessa nella mia vita non mi ero mai soffermata sull’amore verso me stessa. Chi l’ha fatto fin dalla adolescenza ha vinto. È una cosa complessa, c’è bisogno di cure, attenzione, esperienza. Servono tante cose per avere un proprio equilibrio, un proprio centro: è la chiave di tutto.

Il suo spettacolo racconta sia le debolezze sia le speranze, i ricordi e il futuro.
Mi piacciono gli estremi. Anche le contraddizioni. La stranezza può essere scambiata per normalità. Una famiglia disarticolata, sopra le righe, chi non ce l’ha?

Per le canzoni che faranno da trait d’union ai racconti, due chitarre sulla scena.
Il prima e il dopo: la chitarrina dell’adolescenza e la prima chitarra comprata, quella dei concerti. Si fa musica parlando di amore, lavoro, vita.

Questo spettacolo non s’ha da fare, avrà pensato quando un incidente domestico ha rischiato di far slittare debutto e tournée. Invece ce l’ha fatta.
Un’emorragia cerebrale mi ha tenuto ferma a lungo. Ormai ero rassegnata, pensavo non se ne sarebbe fatto più niente, ma il regista Paolo Civati ha cominciato a venire a trovarmi: «Possiamo anche solo parlare, capire come lo faremo in futuro». Procedendo, abbiamo lavorato sul testo sistemato dalla coautrice Alessandra Scotti e... nel giro di un mese e mezzo siamo andati in scena. Un miracolo, veramente.

Prima volta a Botticino?
Sì. Ho già suonato a Brescia. Questa sarà una data speciale: è l’unica del tour in Lombardia, verranno amiche e amici, parenti, mia sorella, mia nipote... Sinceramente non vedo l’ora.

Cosa pensa di Ornella Vanoni anche lei mattatrice del palco in questo periodo?
Ornella è meravigliosa, un’artista strepitosa. I migliori autori l’hanno corteggiata, ma è lei che ha fatto un regalo ad ognuno di loro cantandone le canzoni. Eppure anche per un talento come il suo è stato difficile seguire un percorso autonomo nella musica italiana.

Un mondo pensato dagli uomini per gli uomini?
Lo sa perché ci sono poche autrici? L’ho vissuto sulla mia pelle io che sono una sopravvissuta, una miracolata: c’era la tendenza a non far scrivere le donne, nella convinzione che non fossero capaci di farlo. Uno scetticismo assurdo. Mi sono ribellata prendendo la chitarra e rifiutandomi di cantare seduta: il mio modello era Patti Smith, volevo stare in piedi e cambiare le cose. Anche Carmen Consoli non ha accettato una situazione scandalosa. Ho sempre prediletto le voci femminili non per principio, ma per una questione di gusto: sono cresciuta con Ornella, con Mina, Patty Pravo, poi Sinead O’ Connor. Purtroppo ci portiamo dietro una cultura maschilista in ogni ambito. Io ho voluto reagire. G.p.l.

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