l'intervista

Josef Edoardo Mossali: «Benedetti Michelangeli il mito La mia musica è condivisione»

di Gian Paolo Laffranchi
Il pianoforte è lo strumento d’elezione di Mossali
Il pianoforte è lo strumento d’elezione di Mossali
Il pianoforte è lo strumento d’elezione di Mossali
Il pianoforte è lo strumento d’elezione di Mossali

 

 

Come i giovani piloti predestinati affrontano il primo gran premio da veterani, mani decise e guida sicura, e così facendo vincono e convincono, così Josef Edoardo Mossali ha già messo radici nel mondo che sognava. Musica classica dal respiro internazionale e lui, promessa bresciana di indiscutibile talento, già capace di trionfare al primo tentativo al Teatro Donizetti, sulla sponda bergamasca del Festival Pianistico. Fra le stelle di questa 59ª edizione, affrontando un programma di notevoli difficoltà tecniche e interpretative incentrato sul Novecento storico, nella stessa prestigiosa rassegna che 4 anni dopo gli ha conferito il premio «Giovane talento musicale dell'anno».

Quando ha cominciato a suonare?

Avevo 5 anni.

Josef, Edoardo: nomi scelti dai genitori per qualche motivo specifico?

Nomi che piacevano: Josef a mio padre, Edoardo a mia madre.

La musica le è stata trasmessa o l'ha scoperta da solo?

Ho visto che davano lezioni e mi sono iscritto. Eravamo a Paratico.

Colpo di fulmine?

Assolutamente. Suonare mi piaceva, e parecchio. A 8 anni già facevo sul serio, a 9 entravo in Conservatorio.

Possiamo parlare di vocazione?

Parlerei di amore a prima vista.

Pianoforte sempre e comunque?

Sì. Mi è sembrato da subito lo strumento più completo. Il pianoforte mi ha accompagnato sempre. Deluso, mai.

In casa avrebbe potuto formare un gruppo?

No, ero l'unico impegnato nella musica e lo sono tuttora, anche se fare il pianista era il sogno nel cassetto di mio padre: il suo lavoro è l'officina meccanica. Mia mamma gli dà una mano nella contabilità. Mio fratello maggiore Giacomo, del '91, ha fatto il ciclista professionista.

Stesso spirito di sacrificio.

Serve abnegazione in entrambe le professioni. Tante ore di studio, tante di allenamento.

Quante ore?

Per me 9 o 10 al giorno, ma a volte anche di più: quando faccio recital solistici o musica da camera in duo e ci sono tante cose da memorizzare nelle dita, nella mente.

Ha cominciato da allievo di Massimiliano Motterle

Sì. Poi ho studiato con la professoressa Maria Grazia Pagani, quindi sono entrato al Conservatorio Donizetti e ho ritrovato Motterle, figura importante per la mia crescita.

Ha seguito corsi di perfezionamento con Pavel Gililov, Michel Béroff, Vladimir Ovchinnikov e Benedetto Lupo, fatto incetta di premi, dimostrato di valere i migliori palcoscenici. La chiave dei suoi progressi?

La passione, che ti porta a studiare sempre di più. I riconoscimenti fanno piacere, ma non possono essere l'obiettivo: significherebbe rilassarsi dopo aver raggiunto un traguardo, mentre nel campo dell'arte non ci si deve fermare mai.

Ha un modello?

Dipende dai repertori. Arturo Benedetti Michelangeli è un mito intramontabile. Per la capacità di esecuzione applicata a Chopin invece cito Krystian Zimerman.

I suoi ascolti sono coenti o ha predilezioni per generi musicali insospettabili?

In realtà, quando si affronta un brano sul serio devi sentire tante di quelle interpretazioni che alla fine sei saturo: dopo, cerchi solo il silenzio.

Cos'è suonare?

La musica è divertimento. Devi condividere le tue emozioni con il pubblico. Noi musicisti siamo come pittori del tempo, che è la nostra tela: dobbiamo dipingerla con le grandi composizioni realizzate nei secoli.

Brescia e Bergamo capitali della cultura: ha progetti per il 2023?

Io punterei sulla valorizzazione del Festival Pianistico, un'eccellenza più considerata a livello internazionale che sul nostro territorio.

Il suo miglior concerto?

Non siamo mai contenti, noi musicisti: c'è sempre qualcosa che poteva andare meglio. Mi sono piaciuto l'anno scorso al Conservatorio di Pescara, quando ho vinto il Premio Nazionale delle Arti. Dopo il lockdown, un periodo intenso di studi in mancanza di concerti, sono riuscito a esprimermi come volevo.

Ha suonato a Milano per la Società dei Concerti e per la Società del Quartetto, per l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia ma anche per Rai Radio 3 e per Rai 1. È stato solista sotto la direzione di Pier Carlo Orizio, ha collaborato con orchestre come la Filarmonica del Festival Pianistico e I Virtuosi Italiani. Il sogno adesso qual è?

Suonare il terzo concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov. L'ho eseguito per la laurea al Conservstorio, mai però con l'orchestra.

Se non fosse pianista?

I momenti di difficoltà non sono mancati, la concorrenza è forte, ma sento così mia questa strada e mi sento così bene quando suono che non ho mai pensato a un piano B.

Se facesse musica da cantante?

In famiglia sono cresciuto con il cantautorato anni '60 e '70. Dico Claudio Baglioni.

C'è spazio per altro?

La musica è una passione totalizzante: non esco in bici con mio fratello, resterei indietro subito... Amavo la barca a vela, ma ci sarebbe il rischio di farsi male.

Ha appena incantato il Donizetti di Bergamo e il Museo Diocesano di Brescia. Adesso?

Il 25 giugno sarò a Novara al Teatro Coccia. Il 2 luglio al Viotti Festival a Vercelli. Poi... avanti così. Suonare è la mia dimensione.

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