Vito Mancuso

di Lara Minelli
Il teologo Vito Mancuso questa sera è ospite all’auditorium San Barnaba
Il teologo Vito Mancuso questa sera è ospite all’auditorium San Barnaba
Il teologo Vito Mancuso questa sera è ospite all’auditorium San Barnaba
Il teologo Vito Mancuso questa sera è ospite all’auditorium San Barnaba

Dall’origine della parola al senso della vita. Profonde riflessioni per riscoprire il proprio senso. Indaga Vito Mancuso, celebre teologo, filosofo ed accademico. I suoi scritti sono tradotti in più lingue. Il suo pensiero è spesso al centro di discussioni per le posizioni non sempre allineate con le istituzioni ecclesiastiche. La coerenza anima le sue pubblicazioni come i suoi interventi. Oggi sarà all’Auditorium San Barnaba alle 18, ospite del Festival LeXGiornate, per incontrare nuovamente il pubblico bresciano. Lei che è un cultore della parola, come si pone dinanzi all’imbarbarimento del linguaggio di oggi e al conseguente spaesamento? Come immagina la nostra lingua di domani? Difficile fare previsioni. A mio parere all’evoluzione non ci si deve chiudere. È giusto che la lingua evolva e sia il più aderente possibile alla realtà. Il linguaggio è vero nella misura in cui serve il reale. Una lingua che non evolve mostra una mente statica. Ovviamente bisogna valutare caso per caso. Che rapporto c’è con la lingua di ieri? Ieri è essenziale: non si possono cancellare le radici. Tutto è un’unica evoluzione. Cresce soltanto ciò che ha radici profonde. Per questo l’etimologia è importante? Sì, i frutti sono tali, perché provengono da radici sane. Una competizione tra il frutto e la radice è profondamente sbagliata. Un esempio? L’inglese, la lingua più diffusa proprio per questo. La cultura inglese è una grande conservatrice, ma aperta anche al nuovo. Un nuovo con radici sul passato. È questa la via da seguire. Il primo verso del Vangelo di Giovanni dice che «in principio era il verbo», il logos, ancor prima della Creazione. Come si relaziona rispetto alla sinergia di Marco Aurelio? Credo sia impoverente tradurre logos con parola. Verbo va già meglio, perché si collega alla dinamicità della parola. È molto di più. Cito Goethe nel Faust: per tradurre usa Sinn, pensiero, poi Kraft, forza, ma è con Tat, azione, che trova la traduzione. Ed è corretto? All’origine l’azione? Azione e relazione. È la relazione che produce sistemi. Sempre. Così si spiega la Creazione. L’azione che lega gli esseri in armonia. Quindi la sinergia di Marco Aurelio? Sì, azione come dinamicità. Con questa visione si spiega il logos, il principio originario del tutto. E che non si esaurisce. È sempre in movimento: le nostre vite fioriscono secondo questa logica originaria e dinamica di azione e relazione. Si spiega così il senso della vita? Certamente possiamo dire che il senso della vita sia la relazione. Due teorie: «Non c’è senso senza consenso» e citando ancora Marco Aurelio «Siamo nati per la sinergia». Impossibile non trovare un senso alla propria vita. È la coscienza che si apre e lavora. Più lo fa, più il senso si manifesta. Aristotele diceva: «Siamo animali sociali». Il nostro senso non si ottiene nella solitudine. Ed oggi come si riscopre? Si parla di crisi di identità e disorientamento di valori. «Riprendi in mano la tua vita e diventa padrone del tuo tempo». Lo riassumerei così, con Seneca nella lettera a Lucilio. Seneca dice anche che la vita non sia breve, ma sprecata con azioni futili. Come contrastare questa tendenza? Con l’impegno, rivendicando il proprio tempo e dandogli valore. Rendersi conto che c’è sempre qualcosa di più grande, un dono gratuito, che agirà per e su noi. Dio? Dio o chi per Lui. La teologia parla di «manifestazione di grazia». Ognuno trova il suo «qualcosa». Può essere anche laico, una passione. Questo è il senso della vita con la maiuscola. Sei sempre tu e qualcos’altro che agisce per te e con te. È come un sorriso, un regalo che la vita ci fa. Si raggiunge così la felicità? Sì, permette di conoscere la gioia di vivere. Perché questo diventa uno stile, il nostro modo di vivere la vita. Non sembra facile. Non lo è. Lo scopo è trasformare la propria interiorità in nome di quella logica dell’armonia data dalla relazione. Più mi avvicino a quello stadio primordiale, più raggiungo la mia autenticità. E quindi la felicità avrò trovato il mio senso. Esattamente. Ognuno trova il proprio, ma bisogna lavorarci. È un lavoro interiore sul proprio sé, non facile, ma fondamentale.

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