L'INTERVISTA

Alessandro Altobelli: "Anche noi partimmo senza i favori del pronostico, come i ragazzi di Mancini"

Mondiale 1982: Alessandro Altobelli segna il terzo gol dell’Italia nella finale vinta a Madrid con la Germania Ovest
Mondiale 1982: Alessandro Altobelli segna il terzo gol dell’Italia nella finale vinta a Madrid con la Germania Ovest
Mondiale 1982: Alessandro Altobelli segna il terzo gol dell’Italia nella finale vinta a Madrid con la Germania Ovest
Mondiale 1982: Alessandro Altobelli segna il terzo gol dell’Italia nella finale vinta a Madrid con la Germania Ovest

Chiellini alla Gentile, Chiesa come Bruno Conti. Il gruppo granitico. Le giacche di Armani. La finale giocata l'11 luglio: stesso giorno, stesso mese. È mancato un Paolo Rossi, ma le analogie tra l'Italia di Bearzot e quella di Mancini sono innegabili. Parola di Spillo Altobelli. Uno che nella nazionale dell'82 ha lasciato il segno, un inedito assoluto per i Mondiali, marcando il primo gol da subentrato nella storia delle finali. La seconda l'ha vissuta da spettatore ma con la stessa certezza di allora. «Si percepiva un'atmosfera particolare, una determinazione che poteva portare solo alla vittoria». Sono state due vittorie simili eppure diverse. Di due nazionali che sono arrivate alle stelle partendo dalla polvere. Leggendaria una. Indimenticabile l'altra. Altobelli, che Italia ha visto in questo Europeo? Un'Italia stupenda, che ha giocato un calcio spettacolare. Una grande Italia in sette partite su sette. Abbiamo sofferto forse solo con la Spagna e a tratti con l'Austria ma per il resto abbiamo sempre dominato e imposto il nostro gioco a tutti. Merito di Mancini? Roberto ha fatto un grande lavoro, è innegabile. Se una nazionale arriva a fare 34 risultati utili consecutivi vuol dire che la programmazione è stata fatta bene. Dal primo giorno Mancini ha fatto capire che le porte della nazionale erano aperte a tutti. Ha convocato molti giocatori perché voleva vederli, conoscerli di persona, parlarci. Ha chiamato Zaniolo quando non aveva nemmeno una partita in Serie A. Soprattutto ha dato l'impressione di saper conoscere il calcio e le dinamiche di gruppo. Ma la vittoria non è solo sua. Di chi altro? Mancini è stato un ex giocatore, un campione, ed è un grande allenatore ma ha anche saputo costruire uno staff di altissimo livello. Ha portato con sé colleghi che erano stati suoi compagni alla Samp, amici anche fuori dal campo che lo hanno aiutato su tutti i fronti. È gente di calcio, che vive lo spogliatoio e sa come parlare ai giocatori. Non sono aspetti secondari. Era la nazionale più forte? Non sulla carta, forse, ma lo è stata nei fatti. Abbiamo dovuto sudare con il Belgio e con la Spagna mentre all'Inghilterra era stato steso un tappeto rosso con sei partite in casa e una soltanto a Roma. Noi invece abbiamo pedalato, siamo andati a Monaco e poi tre volte a Wembley. Ci dica, com'è giocare a Wembley? È uno stadio difficilissimo, uno dei più belli del mondo ma anche uno dei più difficili. Fa parte della storia del calcio, non solo di quello inglese, anche se poi, andando a vedere bene, la loro nazionale non vince nulla dal '66. Forse il pubblico esigente a volte li ha limitati. Non sempre può rivelarsi un vantaggio. Crede che gli inglesi abbiano sentito la pressione? Di sicuro dover vincere per forza non aiuta. Un po' di pressione c'è stata. Noi l'abbiamo sentita i primi minuti, prima e dopo il gol. Poi però ci siamo presi la partita e abbiamo vinto ai rigori dimostrando di essere più lucidi e non avere paura. Al contrario di loro. E lasciatemi dire una cosa. Prego. Molte cose che ho visto fare agli inglesi non mi sono piaciute. Dico in generale. Ci hanno fischiato l'inno, una cosa che non succedeva più da anni. Hanno bruciato le nostre bandiere. Hanno picchiato i nostri tifosi. Non sono bei segnali. Ho paura che da loro non sia poi cambiato molto rispetto al passato. Mi è tornato in mente il periodo degli hooligan che creavano un problema dietro l'altro. E poi i giocatori… I giocatori? Si sono sfilati le medaglie d'argento, quasi come se non se le fossero meritate. Non è stato un bel gesto. Lei vede somiglianze tra questa nazionale e la vostra dell'82? Premetto che stiamo parlando di un calcio diverso e che sono passati moltissimi anni. Però tutte e due le nazionali partivano senza i favori dei pronostici e poi hanno vinto. Solo questo? No, di certo ha influito molto la forza del gruppo, che si è compattato strada facendo e ad un certo punto ha capito che avrebbe potuto vincere. Voi all'inizio avevate faticato, l'Italia di Mancini invece ha vinto in scioltezza. Vero, e questo è certamente un merito. Noi abbiamo pareggiato le prime tre faticando non poco. Ma c'è un perché. Ce lo dica. Chi partecipa per vincere si prepara per giocare sette partite. Chi invece non ha ambizioni si allena per giocarne solo tre. Quindi ai gironi si rischia di trovare chi è più avanti di condizione e questo influisce. Noi però fummo bravi a resistere per dare il meglio nella seconda parte. Dopo aver battuto Argentina e Brasile avete capito di poterlo vincere? Esattamente. E credo che anche la squadra di Mancini abbia avuto un momento simile. I successi con il Belgio e la Spagna, due grandissime nazionali, hanno dato la consapevolezza che si poteva andare fino in fondo. Che Europeo è stato? Un torneo anomalo. Non dimentichiamo che è molto diverso giocare un Europeo rispetto a un Mondiale. Al Mondiale si incontrano tante squadre che provengono da culture calcistiche diverse. Qui invece si gioca contro nazionali di un continente solo. Ma ce n'erano di fortissime, molto più quotate dell'Italia. Assolutamente. E abbiamo visto anche parecchi flop: Francia, Germania, Olanda, Portogallo. Squadre che partivano coi favori del pronostico e sono uscite chi al primo, chi al secondo turno. L'Italia, come nell'82, ha sempre giocato con l'idea di voler dimostrare di essere forte, di avere un gruppo valido e far capire a tutti che si poteva vincere. E come la nazionale di Bearzot non ha mai mollato. Chiudiamo con una nota di colore. Prego. Il pilota che ha riportato gli azzurri a Roma si chiama Michele Altobelli e viene da Sonnino come lei. Un parente? Ho saputo! Ma non siamo parenti. A Sonnino ci sono 180 famiglie che si chiamano Altobelli. Però una cosa è certa. Quale? In un modo o nell'altro c'è sempre lo zampino di un Altobelli nelle vittorie della nazionale.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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