Adani sbatte ancora
la porta: «Io amavo
la maglia, altri no»

di Gian Paolo Laffranchi
Gino Corioni cerca di ignorare Adani e Guana, in campo ad allenarsiRoberto Guana e Lele Adani nella conferenza stampa senza contradditorio a Coccaglio il 10 marzo 2005: entrambi lasciarono il Brescia
Gino Corioni cerca di ignorare Adani e Guana, in campo ad allenarsiRoberto Guana e Lele Adani nella conferenza stampa senza contradditorio a Coccaglio il 10 marzo 2005: entrambi lasciarono il Brescia
Gino Corioni cerca di ignorare Adani e Guana, in campo ad allenarsiRoberto Guana e Lele Adani nella conferenza stampa senza contradditorio a Coccaglio il 10 marzo 2005: entrambi lasciarono il Brescia
Gino Corioni cerca di ignorare Adani e Guana, in campo ad allenarsiRoberto Guana e Lele Adani nella conferenza stampa senza contradditorio a Coccaglio il 10 marzo 2005: entrambi lasciarono il Brescia

Sono passati 13 anni, ma il tempo non cancella i ricordi. Né altera i fatti. Ex difensore di alto livello e oggi apprezzato commentatore tv, Lele Adani è stato a lungo nel Brescia. Una storia importante, nella sua carriera che pure l’ha portato a calcare palcoscenici più prestigiosi (San Siro su tutti, da giocatore interista). Un’avventura finita male, con un addìo doloroso che 13 anni dopo non smette di far discutere. Anche perché lo stesso Adani, che allora se ne andò a stagione in corso insieme a Roberto Guana, è tornato a parlare di quel capitolo. Riaprendo una vecchia ferita, e non soltanto perché quel Brescia mutilato di due titolari a mercato chiuso, nell’impossibilità di trovare sostituti, finì per retrocedere. «QUANDO nel 2004 lascia l’Inter e tornai lì per troppo amore non fui capito, venni percepito con invidia, c’era gente gelosa per l’impatto che avevo - ha detto Adani in un’intervista rilasciata a Fuorigioco, il settimanale allegato alla Gazzetta dello Sport -. Cercarono di farmi passare come capro espiatorio, fui anche assediato da alcuni ultrà. Me ne andai a marzo. Si inventarono di tutto, compresa una mia storia con la Hunziker, perché non credevano che si potesse rinunciare a tre anni di stipendio per una questione di ideali e di valori. Dissi tutto in faccia a presidente, allenatore e direttore sportivo, che non amavano il Brescia quanto lo amavo io». Adani chiama in causa chi non può più rispondere. Il presidente Gino Corioni è mancato due anni fa. Suo figlio Fabio, che era dirigente e si occupava in particolare del settore giovanile, è lapidario: «Quello che ha detto Adani si commenta da solo». Sulla stessa lunghezza d’onda Gianni De Biasi, che aveva allenato il Brescia fino a febbraio. Più delle parole, come sempre, contano i fatti. A cominciare dalla fine: il 4 agosto 2005 il collegio arbitrale diede ragione al Brescia, sancendo la rescissione del contratto per i due calciatori che si erano autoesclusi a metà stagione. Adani, elemento di esperienza fondamentale per la difesa, e Guana, ormai pilastro di un centrocampo che l’aveva visto maturare in fretta. Senza di loro, per dire, fu spostato in mediana un centrale come Domizzi; il problema riguardava due reparti, ed ebbe non poco peso nella retrocessione all’ultima giornata. ADANI E GUANA quell’estate del 2005 si accasarono all’ Ascoli, dopo essere stati accostati allo Stoccarda. Il 25 luglio si erano presentati in ritiro a Valdaora, nel tentativo di vincere la causa con la società. Fine mesta di un amore calcistico, fra stracci e carte bollate. Adani era stato capitano del Brescia (una promozione, due retrocessioni); Guana, a parte una parentesi a Cagliari, aveva giocato sempre e soltanto nel Brescia, la squadra della sua città. «Non li voglio più vedere», aveva detto Gino Corioni, sentendosi tradito. Anche loro si sentivano traditi, per questo se ne erano andati lasciando sul tavolo al Touring di Coccaglio una lettera d’addio nella famosa conferenza-stampa a senso unico del 10 marzo. Adani era stato contestato dai tifosi duramente, e l’episodio era certamente da condannare, ma è altrettanto vero che se tutti i giocatori se ne andassero quando vengono contestati il campionato non finirebbe perché presto le squadre non saprebbero chi mandare in campo. Guana gli era solidale. Gli ultras rimproveravano ad Adani lo scarso rendimento e a Guana la scelta di seguirlo. Ma dopo poco tempo emerse soprattutto l’incoerenza. «Prendo i miei interessi, i miei soldi e li lascio sul tavolo - aveva detto Adani insieme a Guana nella sala conferenze di Coccaglio -. Lo faccio per rendere questa maglia più nobile e migliore. Sono le nostre ultime parole da giocatori del Brescia». Eppure Adani & Guana erano poi riapparsi quell’estate indossando proprio una maglia del Brescia. Presentandosi al centro fitness Palextra per i test atletici, a costo di andarsene da un’uscita secondaria sotto scorta della Digos. Una retromarcia, per quanto le persone a loro vicine sostenessero che «erano disposti a rescindere, ma non sono stati ascoltati». Di sicuro, per com’erano andate le cose, il Brescia non poteva essere dell’idea di accordare una buonuscita. PER FARSI ammettere in ritiro a Valdaora e chiedere la riammissione nella rosa, Adani e Guana avevano fatto spedire una lettera alla società dall’avvocato Fabio Manichetti di Pisa (particolare curioso, il loro legale al collegio di A e B, a Milano, vestiva i panni dell’arbitro nel collegio di serie C, a Firenze: avvocato di qua, giudice di là). I due giocatori se ne erano andati con una rinuncia e una promessa: mai più in biancazzurro per il bene della maglia e di chi la ama davvero. Privandosi di «qualcosa di terreno» per rendere la maglia «più nobile e migliore». Ma c’era un abisso fra quelle parole e la richiesta di un risarcimento pari al 50 per cento dell’ingaggio lordo annuo (500 mila euro per Adani, 50 mila per Guana), avanzata lamentando un reintegro tardivo. Essere convocati, effettuare i test atletici, essere accolti in ritiro dalla squadra era un loro diritto, almeno fino al giudizio del collegio arbitrale. Che diede ragione al Brescia. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti