Gigi Cagni

Gigi Cagni: quattro anni fa subentrando ha salvato il Brescia dalla retrocessione in C all’ultima giornata FOTOLIVE
Gigi Cagni: quattro anni fa subentrando ha salvato il Brescia dalla retrocessione in C all’ultima giornata FOTOLIVE
Gigi Cagni: quattro anni fa subentrando ha salvato il Brescia dalla retrocessione in C all’ultima giornata FOTOLIVE
Gigi Cagni: quattro anni fa subentrando ha salvato il Brescia dalla retrocessione in C all’ultima giornata FOTOLIVE

Dal suo buen retiro in Liguria, Gigi Cagni benedice l’imminente matrimonio fra Pippo Inzaghi e il Brescia. Cagni, funzionerà? Inzaghi sa cosa lo aspetta? Pippo è abituato ad andare in ambienti che sono in fibrillazione. Lui accetta le tensioni, è uno che le vive, ama la sfide. Però, mi sorprende che abbia detto sì al Brescia. Il motivo? L’ho sentito di recente e mi aveva detto che gli ultimi anni sono stati stressanti e che mentalmente era pronto all’idea di non iniziare la stagione. Se ha accettato Brescia, significa che lo intriga. L’importante è che abbia il tempo di lavorare. Lo sappiamo tutti chi è Cellino, ma Inzaghi è uno che nella vita ha vinto. E mica in tempi troppo lontani: 2 promozioni negli ultimi 4 anni. Ma a Benevento è retrocesso in modo incredibile: 22 punti all’andata, solo 11 nel ritorno. L’ha presa come deve fare un vero uomo di calcio: nella vita si devono accettare anche le sconfitte. Inzaghi arriva in un posto ambizioso: il Brescia in B non parte come comprimario. Se ha accettato questa avventura, è perché Cellino gli avrà dato garanzie. E poi Inzaghi sa come si vince: se ha accettato la proposta del presidente, è perché vede questa possibilità. Si può dire che Cagni è l’allenatore che ha lanciato Inzaghi? Quando sono arrivato a Piacenza, i fratelli Inzaghi erano nelle giovanili: Filippo nella Primavera, Simone negli Allievi. Avevo subito visto le caratteristiche di Pippo, ma ho vinto il campionato di C e lui non era ancora pronto. Lo abbiamo mandato al Leffe, perché una volta le società come il Piacenza facevano così: lanciavano i giovani e, per farli crescere, li mandavano a farsi le ossa altrove. Poi siamo andati in A e lui è andato a Verona, dove ha segnato 13 gol. Noi siamo retrocessi e Pippo è tornato. Con i suoi gol, 15, abbiamo vinto di nuovo la B: a 5 partite dalla fine eravamo già irraggiungibili. Un anno strepitoso: da lì Inzaghi è andato a Parma. Era pronto. In verità all’inizio non trovava spazio: giocavo con 3 punte e le 3 punte erano Turrini, De Vitis e Piovani. Le conoscevo benissimo, erano con me da 3 anni. Ma ogni volta che lo mettevo dentro, Pippo faceva gol. E cosa successe? Dopo 5-6 partite ho dovuto cambiare modulo. Faceva gol e io lo lasciavo fuori. Inzaghi veniva il martedì e non si lamentava mai. Parlava poco e dimostrava sul campo, ha sempre avuto questa mentalità. E in allenamento mi metteva in difficoltà lavorando come una bestia. Cosa decise di fare per non lasciarlo più in panchina? Ho trasformato Turrini in centrocampista, che poi è stata la sua fortuna. E da quel momento il Piacenza ha iniziato una cavalcata incredibile: Pippo fece 15 gol, fu magnifico. Che professionista era? Viveva di calcio e basta. Voleva arrivare a tutti i costi. Tecnicamente era meno dotato del fratello Simone, però nei 16 metri era micidiale. Io gli avevo cucito addosso un gioco che ne esaltasse le qualità di bomber. Volevo tanti cross sul primo palo e Pippo era incredibile nell’anticipare il difensore. I superficiali dicono che Inzaghi facesse solo gol facili. Macché! Lui ha fatto gol meno belli, belli ma anche bellissimi: in rovesciata, al volo. Ma la sua forza era l’anticipo del difensore. Andava sempre verso il pallone. Il rapporto tra di voi è continuato anche dopo il suo addio al Piacenza? Eccome! Ricordo, che al primo anno di Milan, mi telefonava per lamentarsi: mister, non mi mettono mai un cross sul primo palo. Continuo a dirlo ai terzini, ma non mi ascoltano. Su Inzaghi circolano alcune leggende. Una riguarda la sua conoscenza enciclopedica di tutto lo scibile calcistico e l’altro la cura maniacale dell’alimentazione. Non sono leggende. Se parlavi di pallone con Filippo e Simone il lunedì, sapevano a memoria le formazioni di tutti i dilettanti di Piacenza. Il suo menù? Riso in bianco, bresaola con rucola, frutta e acqua. Inzaghi è stato lanciato da un allenatore bresciano e anche il suo procuratore lo è. Nei primi anni ’90 la figura del procuratore iniziava ad affacciarsi nel mondo del calcio. Tullio Tinti l’avevo trovato da avversario quando giocavo ed era di Brescia. Si interessò ai fratelli Inzaghi quando entrambi erano ancora nelle giovanili. Venne a Piacenza e chiese a Marchetti, il direttore sportivo, se poteva prenderli in procura. Marchetti è un altro bresciano, di Rudiano. Gli abbiamo detto di sì perché sapevamo chi era Tinti. Conoscevamo la persona. Piacenza era una famiglia, era quel tipo di calcio, ci tenevamo ai giovani. Tornando agli Inzaghi, le parti si sono invertite da allenatore: il top è Simone. Che ha avuto la fortuna e la bravura di trovare la Lazio al momento giusto. Pippo, invece, ha preso il Milan nel momento sbagliato. Ma ha avuto il merito di ripartire prima dalla Serie C con il Venezia e, dopo l’esonero di Bologna, di scendere in Serie B con il Benevento rivincendo. Questo è il segnale di uno che ha davvero voglia di allenare e non guarda le categorie. E state tranquilli: dategli ancora qualche anno e Pippo arriverà stabilmente in una grande squadra non perché è Inzaghi, ma perché lo merita. •. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti