La seconda vita
di Galli «Brescia,
quante gioie»

di Alessandro Maffessoli
Filippo Galli, 56 anni: 104 presenze e 2 gol all’attivo con il Brescia tra il 1998 e il 2001Filippo Galli premiato con la «Panchina d’Oro» bresciana nel 2014
Filippo Galli, 56 anni: 104 presenze e 2 gol all’attivo con il Brescia tra il 1998 e il 2001Filippo Galli premiato con la «Panchina d’Oro» bresciana nel 2014
Filippo Galli, 56 anni: 104 presenze e 2 gol all’attivo con il Brescia tra il 1998 e il 2001Filippo Galli premiato con la «Panchina d’Oro» bresciana nel 2014
Filippo Galli, 56 anni: 104 presenze e 2 gol all’attivo con il Brescia tra il 1998 e il 2001Filippo Galli premiato con la «Panchina d’Oro» bresciana nel 2014

Tre stagioni da grande protagonista per coronare il proprio sogno: ritrovare quella serie A giocata ad alti livelli con la maglia del Milan, persa successivamente durante l’esperienza con la Reggiana. A 35 anni Filippo Galli ha vissuto a Brescia una seconda giovinezza. Un triennio in biancazzurro, una promozione dalla B e una salvezza in A: come giudica questa esperienza? A Brescia ho vissuto tre anni fantastici. La società e io avevamo gli stessi obiettivi: ritrovare la serie A. E alla fine abbiamo festeggiato insieme questo traguardo. Come è nata la trattativa che l’ha portata a Brescia? È stata molto veloce. Ero all’estero quando ho ricevuto la chiamata dell’allora direttore sportivo Lo Monaco. Mi ha chiesto di far parte del nuovo progetto e non ci sono state esitazioni. Con il presidente Corioni abbiamo trovato l’accordo. E poi ho avuto l’occasione di avvicinarmi a casa, essendo di Monza. La voglia di riscatto dopo la serie A persa con la Reggiana era tanta... Sono arrivato con grandi motivazioni. Dentro me ho sempre visto il Brescia come il mio Milan: era allo stesso livello per impegno e blasone del club. A distanza di tanti anni è ricordato ancora dai bresciani con molto affetto. È contento? Indubbiamente sì. Brescia è una città che mi ha dato tanto. Ho conosciuto subito il calore e la passione dei tifosi e della gente. E conservo tutt’ora un bel ricordo della piazza e delle persone che avevo accanto. Tanti miei compagni, ma anche Edoardo Piovani, Mauro Pederzoli e il presidente Gino Corioni. Una figura, quest’ultima, che ha portato il Brescia al massimo livello della propria storia. Cosa ricorda di lui? Gino Corioni aveva una grande passione. Non vorrei esagerare ma era come un padre. Viveva il calcio in maniera viscerale e aveva il Brescia dentro di sé. Nelle sue vene scorreva sangue biancazzurro. Era un presidente innamorato. Che differenze ha trovato tra lui e Silvio Berlusconi? Berlusconi era molto in gamba dal punto di vista motivazionale, mentre Corioni aveva un approccio più individuale. Due grandi conoscitori del calcio. Come può suddividere i tre anni vissuti con la maglia del Brescia? La prima stagione siamo partiti con Silvio Baldini per ritrovare la A, ma non abbiamo raggiunto l’obiettivo. L’anno successivo siamo riusciti invece a riscattarci e a tornare in A sotto la guida di Nedo Sonetti: fu una grande soddisfazione personale. Oltre che per i miei compagni, la società e i tifosi. E il terzo anno arrivò invece una salvezza anticipata in serie A con Mazzone. Tre campionati diversi vissuti con altrettanti allenatori. Che differenze ha trovato? Baldini è stato una piacevole sorpresa, un tecnico di principi dentro e fuori dal campo. Un uomo vero che ci ha permesso di trovare subito la giusta sintonia. Sonetti ha portato pragmatismo: pochi fronzoli e tanta sostanza. La sua esperienza ci ha aiutato nel raggiungere la promozione in A. E poi Mazzone, un maestro, però... Però? Con lui la sintonia non scattò automatica, anzi. All’inizio il nostro rapporto non fu proprio dei migliori. Non ero molto considerato, soprattutto durante la preparazione. La volete sapere una cosa? Certo, ci dica... Avrebbe voluto che entrassi a far parte del suo staff tecnico. Ma io mi sentivo un calciatore. Avevo ancora molto da dare e ho continuato ad allenarmi con grande impegno e dedizione. Poi però sono riuscito a conquistarlo. Come ha fatto? Il feeling è scattato al Rigamonti durante la partita contro il Parma. In quell’occasione Bonera si infortunò, Mazzone si girò verso la panchina e mi diede fiducia. Entrai e risposi in maniera positiva. Da quel momento riuscii a conquistarlo e a dimostrare che ero un giocatore affidabile e che non creavo alcun problema anche se fossi rimasto in panchina. Da quella partita ha poi giocato quasi sempre, contribuendo con 23 presenze alla salvezza del Brescia. Sì, vero. Devo dire grazie a Mazzone. Non solo per la sua fiducia, ma anche per aver saputo gestire un gruppo di grandi giocatori. Penso a Baggio, Hubner, i gemelli Filippini, Bisoli, Calori, Bonera, Diana. Eravamo davvero una bella squadra. La stagione si è chiusa con una doppia soddisfazione: salvezza e standing ovation a San Siro. Mica male... Con una grande rimonta la squadra si è salvata in anticipo. Per quanto riguarda il saluto di San Siro ricordo che Mazzone non mi faceva più entrare. Poi ho giocato gli ultimi minuti al posto di Roberto Baggio. Credo che buona parte degli applausi siano stati indirizzati a lui. Da milanese e milanista aver sentito questo calore dal pubblico rossonero mi ha fatto molto piacere. E poi ricordo anche il clima: tra bresciani e milanisti esiste uno storico gemellaggio che ha reso ancora più bello quel momento. Che emozioni le suscita pensare a San Siro? A volte quando passo accanto allo stadio penso alle tante partite giocate. Le emozioni sono tante e difficili da descrivere. Penso che anche chi non ama il calcio dovrebbe provare a vivere una partita a San Siro, magari in notturna. In quel tempio il suo Milan ha costruito le sue vittorie tra scudetti, Champions, Intercontinentali da conquistare nel mondo. Ma resta una domanda: come mai Filippo Galli non ha mai giocato in Nazionale? È una cosa che mi hanno chiesto in tanti, ma la risposta è semplice. Perché c’erano difensori in quel momento più bravi di me. Penso a Franco Baresi, Billy Costacurta, Riccardo Ferri, ma anche a Pietro Vierchowod per citarne alcuni. Le soddisfazioni non sono però mancate... Ho avuto modo di giocare in carriera tante partite importanti e vincere trofei. Ma me ne è sfuggito uno... Ah sì, quale? La Coppa Italia. Ricordo ancora la doppia finale giocata contro la Juventus (stagione 1989-90). Dopo lo 0-0 di Torino è arrivata la sconfitta in casa per 1-0 al ritorno con un gol di Galia. Quella è una gara che avrei voluto rigiocare. Parlando di presente cosa ci dice della situazione del Brescia? Dispiace vederlo ultimo in serie A. La società ha trovato con Cellino una nuova solidità. Il presidente è ambizioso e credo che, qualora il campionato dovesse concludersi male, punterebbe subito a ritrovare la serie A. Sono stati fatti investimenti ingenti tra stadio e centro sportivo. Quante possibilità ha la squadra di salvarsi? Non conosco le dinamiche e le situazioni tecnico-tattiche, ma spero, anche se sarà difficile, che la squadra possa recuperare posizioni di classifica e confermarsi ai massimi livelli del calcio italiano. Come giudica la stagione di Mario Balotelli? Dispiace non abbia avuto sulla squadra l’impatto che tutti si aspettavano. Pensavo potesse dare molto di più. Sono sempre stato dalla parte di Mario, anche adesso. Mi auguro che nelle gare che restano possa fare la differenza. A fare da contraltare ci sono però le prestazioni offerte da due giovani talenti in rampa di lancio: Tonali e Cistana. Senza dubbio. Tonali è un giocatore che tutti vorrebbero. Mi piace perché ha qualità e quantità: gestisce bene la palla e in fase di non possesso sa essere aggressivo. Non penso che sarà molto facile strapparlo a Cellino. Lui ha dimostrato di essere molto bravo nel vendere i propri gioielli al suo prezzo. E su Cistana cosa ci dice? Una sorpresa piacevole, soprattutto pensando che fino a poco fa giocava in D. Sta crescendo e maturando, e nelle due fasi è un giocatore moderno. Speriamo che possa confermarsi e dare continuità alle proprie prestazioni. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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