Ottavio Bianchi

di Vincenzo Corbetta
Ottavio Bianchi, 77 anni, con il compianto Diego Armando Maradona ai tempi del Napoli. Insieme hanno vinto scudetto, Coppa Italia e Coppa Uefa
Ottavio Bianchi, 77 anni, con il compianto Diego Armando Maradona ai tempi del Napoli. Insieme hanno vinto scudetto, Coppa Italia e Coppa Uefa
Ottavio Bianchi, 77 anni, con il compianto Diego Armando Maradona ai tempi del Napoli. Insieme hanno vinto scudetto, Coppa Italia e Coppa Uefa
Ottavio Bianchi, 77 anni, con il compianto Diego Armando Maradona ai tempi del Napoli. Insieme hanno vinto scudetto, Coppa Italia e Coppa Uefa

Le dimissioni di Prandelli, il momento molto particolare di Pirlo, il modo di giocare di De Zerbi con uno sguardo allargato a Guardiola. Chi meglio di Ottavio Bianchi, l’allenatore bresciano artefice del primo scudetto del Napoli, stagione ’86-87? Bianchi, come giudica il gesto di Prandelli? Stiamo parlando di un uomo di altri tempi, verticale. Ha tutta la mia ammirazione: in questo momento un gesto del genere è inusuale. A me è piaciuto molto questo modo di fare, di esprimersi, di ammettere certe debolezze, di constatare che questo è un ambiente ormai non più suo e quindi fare un passo indietro. La sua parabola discendente è iniziata dopo il Mondiale in Brasile 2014. In effetti, dopo l’esperienza da commissario tecnico, non ha più trovato l’ambiente giusto per trasmettere le sue idee. Soprattutto non ha più trovato qualcuno che gli affidasse un progetto dall’inizio... Si fermi! Voi giornalisti usate e abusate della parola progetto. Nel mondo del calcio il progetto non esiste. Provi a mettersi nella stanza dei bottoni con i proprietari di una società o con un direttore generale e sportivo. Si fissa un programma, ma i primi a essere allontanati sono gli allenatori. I progetti lasciamoli fare agli architetti e agli ingegneri. Nel calcio esiste solo se la butti dentro o se la calci fuori. L’allenatore più in voga di tutti in questo momento è Gasperini, eppure dopo le prime 3 partite con l’Atalanta i giornali parlavano già di esonero. Vedo, però, che cacciare un allenatore dopo 2 sconfitte era una caratteristica tutta nostra, ora è una prerogativa anche degli stranieri. Una soluzione in voga ovunque, ormai. Guardiola ha impiegato 2 anni per vincere con il Manchester City, Klopp 3 anni e mezzo per rifare grande il Liverpool, Ferguson il doppio al Manchester United per iniziare a raccogliere i frutti. Ma in Italia non ci possono essere un Ferguson, un Guardiola o un Klopp. Vada a vedere cosa hanno speso e cosa guadagnano i loro giocatori senza vincere subito: da noi sarebbe stato un fallimento economico più che di campo. Se parliamo di allenatori di quei livelli, non abbiamo paragoni in Italia. I due Manchester e il Liverpool sono al di fuori della norma per noi. E mettiamoci bene in testa che il nostro calcio non è più di prima fascia ma di quarta. I giocatori che vengono in Serie A non fanno parte delle squadre europee di prima fila. Quando allenavo io, i migliori venivano in Italia. Lei ha avuto Maradona, il migliore di tutti. Ma anche gli altri: Platini, Zico, Rumenigge, Voller, Aldair. All’epoca pure il calcio italiano abbondava di fuoriclasse. Certo, ma nelle prime squadre ne giocavano 6-7, non uno come adesso. Qui serve un’inversione di tendenza. Par di capire che tornerebbe al limite del numero di giocatori stranieri in campo. È così? Non voglio essere frainteso: non sono contro gli stranieri. Io non guardo se uno è italiano o no, ma la qualità. Se tu straniero sei bravo, giochi ovunque. Se non sei bravo, a parità di doti preferisco il giocatore di casa che ha tanti vantaggi: la famiglia vicina, conosce gli usi e i costumi, l’alimentazione, ha l’attaccamento alla maglia. La Juventus ha Cristiano Ronaldo, ma vince meno che negli altri anni. Un campionato come quello della Juventus era abbastanza prevedibile. Oltre che sul campo la Juve è sempre stata un modello di organizzazione societaria, non ripetibile altrove. Se alle spalle hai una dirigenza seria, chi scende in campo ha grossi vantaggi. In un club non all’altezza, con cambi di proprietà durante l’anno e una situazione instabile, gli scudetti mica li puoi vincere. E di Pirlo cosa pensa? Giusto che la Juve lo abbia preso? Bisogna entrare nella mentalità della Juventus per cercare di capire. La prerogativa dei dirigenti bianconeri da sempre è quella di prendere allenatori senza esperienza. Non dimentichiamoci di Trapattoni, che quando io ero al Milan faceva il terzo. E poi Parola, Vycpalek, Lippi e, più di recente, Conte e Allegri: non erano i primi, lo sono diventati alla Juventus, dove è più facile ricordare chi ha perso, pochi, più che chi ha vinto, praticamente tutti o quasi. Qualcuno, adesso, dice che Pirlo non doveva accettare di partire subito dall’alto... Troppo facile dire ora che non doveva accettare, il problema è che si è trovato alla guida di una squadra logora, ormai alla frutta. Ha giocatori molto bravi ma i segni degli anni che passano a stento li puoi camuffare in Italia, figurarsi in Europa. A Pirlo avrebbe giovato un minimo di apprendistato nelle serie minori? Preferisco chi fa la gavetta: fare l’allenatore significa andare a casa e pensare di aver fatto bene perché si è sbagliato meno del solito. Devi provare e riprovare, fare e disfare, continuare a metterti in discussione, ma in Italia non ti danno il tempo. Alla Juventus è diverso. Pensate a una situazione del genere in una squadra come il Napoli. Quando giocavo io, dopo 2 sconfitte Pesaola doveva dare le dimissioni che poi rientravano. L’anno del double scudetto- Coppa Italia, a Tolosa nel primo turno di Coppa Uefa, Maradona sbagliò l’ultimo rigore calciandolo sul palo. Fummo eliminati e a Napoli volevano la mia testa. Dissi alla famiglia di tornare a Bergamo, che l’avrei raggiunta nel giro di una-due settimane. Rimasi e il Napoli vinse tutto. Nel mondo del calcio non mi meraviglio più di niente, purtroppo. Le piace De Zerbi? L’esperienza lo sta migliorando: è un ragazzo intelligente e preparato. Ma ci sono allenatori che si esaltano se la propria squadra fa l’80 per cento di possesso di palla e poi vincono gli altri con 2 mosse semplici. Lo stesso vale per Guardiola. Ha inventato il tiki-taka. Ma chi aveva a Barcellona per fare il tiki-taka? Iniesta, Xavi, che sapevano portare il pallone in un certo modo a Messi per esaltarne le caratteristiche negli ultimi 16 metri. Poi è andato altrove e ha dovuto cambiare. L’intelligenza di un allenatore è non fossilizzarsi su un modo di giocare, studiare la formula per ottenere il miglior risultato attraverso il miglior gioco. Altrimenti, uno non deve fare l’allenatore. •. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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