L'ultimo compleanno da allenatore, Dario Bonetti lo aveva vissuto sottosopra. Era il 5 agosto del 2016 e soltanto un giorno dopo avrebbe rassegnato le dimissioni dal Targu Mures, squadra di Serie A rumena. Insomma, l'esatto opposto del compleanno che festeggia oggi. Una ricorrenza speciale per almeno due motivi. Il primo è il traguardo: sessant'anni tondi tondi. «Ma avete fatto un errore di calcolo: sono cinquanta, non sessanta - scherza -. E a dirla tutta ne sento molti meno. Sono in forma, ho sempre un sacco di progetti, giro sempre, alleno». Il secondo motivo, ca va sans dire, è per la panchina ritrovata. E non certo una panchina qualsiasi, anche se in una situazione particolare. Dal 15 luglio Bonetti è tornato alla Dinamo Bucarest, la seconda squadra più titolata del Paese dopo la Steaua con 18 titoli di Romania e 13 coppe nazionali. La stagione è già entrata nel vivo e le prime partite di campionato hanno dato subito buone sensazioni. Fin qui la squadra ha avuto un buon inizio, con 2 vittorie su 3 partite, e vanta il miglior attacco del torneo con 6 gol segnati. Se il buongiorno si vede dal mattino… «Ma non pensate che sia semplice - dice -. La società è in mano ai tribunali, siamo in amministrazione controllata e la squadra è composta da soli giovani. Però non mi lamento. Anzi, sono molto stimolato. I giovani spesso ti danno più dei veterani, sono disposti ad ascoltarti se tu sei onesto con loro. E poi ho un calciatore davvero forte». Chi? «Si chiama Deian Sorescu, deve ancora compiere 24 anni. Ha forza, qualità, vede la porta e tira delle cannonate incredibili. Lo scorso anno faceva il terzino ma io l'ho impostato come esterno d'attacco nel 4-3-3 e i risultati si sono visti subito». Tre partite, cinque gol sui sei complessivi della squadra. «Potrebbe giocare già oggi in una grande. Sono questi i giocatori su cui bisogna puntare in Italia - assicura Bonetti -. Una società come il Brescia potrebbe prenderlo con poco e poi fra due o tre anni rivenderlo a 20 o 30 milioni». Gira e rigira si finisce sempre lì, a parlare di Brescia, un vecchio amore che il tempo non ha cancellato. «Ultimamente lo sto seguendo poco - ammette -. La B non è un campionato di alto livello ma per vincere servono tre cose. Una società che tracci la linea e la segua con coerenza, un allenatore e uno staff a cui vengano dati tempo e carta bianca e dei giocatori capaci di buttarla dentro. E se proprio volete saperlo il Brescia ne ha già uno in casa». Ayé? Bajic? «No, Donnarumma. In A era partito benissimo ma poi ha perso fiducia. Anche l'anno scorso non è andato bene. Però resta un calciatore bravissimo. Io non lo manderei mai via. C'è solo da restituirgli fiducia». Brescia, Roma, Samp, ancora Roma, Milan, Verona, Juve, di nuovo Samp e Spal. In 14 anni di carriera, da «stopper» granitico (ha il record di giornate di squalifica in A, 39) Dario Bonetti ne ha viste di tutti i colori. Ha vinto 4 Coppa Italia, 1 Coppa Uefa e una Supercoppa Italiana. Ha vestito la maglia della nazionale nel 1986. E ha perso la finale di Coppa dei Campioni nel 1984 contro il Liverpool. «Sono esperienze dirette che mi sono servite e ora mi danno tanto nel rapporto coi miei calciatori - dice -. Ho avuto grandi compagni, ho marcato Maradona e molti campioni e sono stato in società con grandissimi presidenti. Viola, Agnelli, Berlusconi. Difficile dire chi sia stato il più grande, ognuno lo è stato a modo suo. Anche Mantovani, che alla Samp ha fatto qualcosa di unico». Non è un caso se da quella Samp è uscita una colonia di futuri tecnici che ha portato la nazionale alla vittoria degli europei dopo 54 anni. «Hanno fatto qualcosa di strepitoso e non solo per la vittoria. Il Mancio e i suoi collaboratori hanno riavvicinato molta gente alla nazionale. Hanno portato la mentalità giusta e lanciato tanti giovani». Quello che oggi, a 60 anni appena compiuti, Dario Bonetti sogna in piccolo di fare con la Dinamo. «I giovani ti possono dare tanto. Spero di poter fare qualcosa di buono insieme a quelli che ho adesso. Sono arrivato una settimana prima che iniziasse il campionato e non avevano fatto un giorno di allenamento. Ho dovuto parlarci, fare tattica e lavorare molto». •. © RIPRODUZIONE RISERVATA