L'INTERVISTA

"Covid e danni
ai polmoni: non
sono permanenti"

di Paola Buizza
Michela Bezzi, primario Pneumologia Endoscopica al Civile
Michela Bezzi, primario Pneumologia Endoscopica al Civile
Michela Bezzi, primario Pneumologia Endoscopica al Civile
Michela Bezzi, primario Pneumologia Endoscopica al Civile

«Il 30% dei malati Covid potrebbe sviluppare danni permanenti al polmoni» aveva ipotizzato la Società italiana di Pneumologia nei mesi scorsi, avvisando però che per avere certezze sarebbe servito del tempo. E le risposte, le prime, stanno arrivando. Ma ribaltano il nefasto pronostico: la maggior parte dei pazienti dimessi ha i polmoni «puliti», per usare il gergo medico. La conferma arriva dalla dottoressa Michela Bezzi, responsabile della Pneumologia Endoscopica degli Spedali Civili di Brescia e coordinatrice di delle unità Covid A e B (quest'ultima chiusa a maggio) nei mesi dell'emergenza. Rientrata a Brescia nel 2018 dal Careggi di Firenze, dove era approdata nel 2015 come responsabile della pneumologia interventistica, Bezzi si è ritrovata ad affrontare un'emergenza mai vista prima e ha partecipato alla conversione dell'ospedale organizzando lo staff medico e infermieristico per affrontare al meglio la pandemia. Ha vissuto in trincea. I prossimi mesi? «Siamo in uno stato di vigile attesa», spiega Bezzi che venerdì sera racconterà la sua esperienza nella chiesa di San Giorgio a Brescia per la rassegna Sapiens.
Dottoressa, a maggio vi aspettavate per il 30% dei pazienti Covid problemi respiratori cronici e segni diffusi di fibrosi polmonare. Le evidenze, però, oggi paiono diverse...
«Negli ambulatori post-Covid richiamiamo tutti i pazienti anche con la telemedicina e molti, pur di non rimettere piede in ospedale, ci mandano la spirometria e la radiografia al torace. La maggior parte di loro è guarita. Anche quelli che hanno fatto più fatica nel tornare a muoversi come prima senza affanno, hanno la tac pulita. Le dico di più: con il comitato etico ero pronta a presentare uno studio che facesse prelievi di tessuto polmonare in vivo per studiare gli esiti del Covid e capire cosa succede ai polmoni dopo tre o sei mesi per curare le conseguenze dell'infezione virale: non siamo partiti. Sembra che il danno permanente al polmone sia meno grave di quanto si pensasse. Ci aspettavamo danni permanenti, pazienti che non sarebbero tornati più a respirare normalmente ma col bisogno di ossigeno, tac che non si risolvevano... Nulla di tutto questo è successo. Molto più grave, invece, è l’aspetto psicologico».
Come lo spiega?
«Perché ci basavamo sui dati della Sars e della Mers, su quanto avevano lasciato quel tipo di infezioni. Ma erano molto diverse: innanzitutto molto più gravi anche se si sono diffuse molto meno perché uccidevano i loro ospiti. Sars-Cov-2 evidentemente è riuscito a diffondersi così tanto anche perché la gravità era inferiore, quindi gli ospiti sopravvivono e contagiano gli altri».
Intanto i contagi sono tornati ad aumentare. Qual è la situazione al Civile che, lo ricordiamo, è ospedale hub Covid in regione?
«I pazienti con vera polmonite da Covid e desaturazione, che magari devono fare antiretrovirali, cortisone, ventilazione con mascherina, sono forse una decina e si susseguono pian piano tra tutte le degenze attive in ospedale, suddivise tra Infettivi, Pneumologia e Rianimazione.
Parla di quella tipologia di pazienti di cui gli ospedali erano pieni tra marzo e aprile?
«Quelli di cui ne abbiamo avuti 1.200 per un mese contemporaneamente sui tre presidi dell'Asst Spedali Civili in condizioni molto gravi. Oggi li ventiliamo per quattro o cinque giorni prima di passare alla settimana di convalescenza e poi mandarli casa».
Come mai la degenza si è ridotta così tanto?
«Sono pazienti meno gravi. È come se il virus avesse mietuto le sue vittime tra febbraio e aprile andando a colpire le persone più fragili. Non dimentichiamo che ne sono arrivati davvero tanti perché oltre ai nostri 1.200 c’erano ricoverati in tutti gli altri ospedali. I pazienti che vedo in questo periodo arrivano dall'estero: rientri da Ibiza, Croazia, badanti che sono andate nel loro paese e tornano in Italia dai loro assistiti essendo positive. Ma hanno forme più lievi».
Cosa accadrà nei prossimi mesi?
«Riesploderà l'influenza, poi arriverà il freddo con raffreddori e tosse e il virus ricomincerà a circolare non solo tra i giovani ma anche nei nostri anziani. Per me la situazione sarà diversa perché siamo decisamente più preparati. Stiamo lavorando tantissimo con i medici di medicina generale anche a livello volontaristico, ci sono aggregazioni di mmg con cui ci confrontiamo nelle varie aree geografiche di città e provincia. La cosa più importante è continuare ad offrire ai pazienti non Covid l’alto livello di cura di cui siamo capaci in ospedale ed essere pronti e organizzati per gestire in modo capillare sul territorio i sintomi simil influenzali o da Covid che si svilupperanno, curandoli a casa.

 

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