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Nordio: «Una giustizia diversa? Va cambiata la Costituzione»

di Stefano Joppi
A Torri del Benaco l'ex pubblico ministero e opinionista ha raccontato «l'ultimo atto» della magistratura. Il problema è il processo penale: «L'abbiamo preso senza attuarlo» Riforma Cartabia: «Contiene cose importanti, ma non risolutive»
La copertina del libro
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A trent’anni da Tangentopoli la fiducia degli italiani nella magistratura è in caduta libera. Colpa anche degli scandali emersi a partire dal caso Luca Palamara e di una classe politica che tentenna non poco. «La riforma Cartabia è il minimo sindacale per ottenere i sussidi dell’Europa, soldi che comunque sono già arrivati», ha sostenuto senza giri di parole Carlo Nordio, editorialista ed ex magistrato, a Torri del Benaco nell’ambito di Book Week, la rassegna di eventi culturali, che termina oggi, promossa dal Gruppo Athesis con Italypost. Nordio, intervistato da Davide Rossi e dopo il saluto del sindaco Stefano Nicotra, ha espresso con concetti chiari quanto scritto in «Giustizia. Ultimo atto. Da Tangentopoli al crollo della magistratura», edito da Guerini e Associati. «Premesso che la Cartabia è una grandissima ministra della Giustizia, è stata presidente della Corte Costituzionale e tecnicamente è tra le più preparate che abbiamo, va precisato che lei non fa le Riforme che sono invece di competenza del Parlamento. Che non ha grandi intenzioni riformatrici in tema di Giustizia. In più non ha la forza politica e ancor meno la volontà di farle. Lo si è visto negli ultimi referendum quando la gran parte dei partiti si è defilata. «Sia chiaro, la Riforma Cartabia ha elementi positivi, soprattutto per quanto riguarda l’eliminazione delle porte girevoli dei magistrati o le pagelle date agli stessi: è giusto visto che qualsiasi lavoro deve essere sottoposto ad una valutazione.

Ad oggi i magistrati sono valutati da loro stessi e si autoincensano: se si vanno a leggere le valutazioni dei magistrati, il 99,3% è considerato un mezzo genio. Ripeto, nella Riforma Cartabia ci sono cose importanti ma non risolutive. Come si può avere una giustizia diversa da quella che abbiamo? «A mio avviso bisogna cambiare la Costituzione per quanto concerne il processo penale. Noi abbiamo introdotto 40 anni fa questo processo all’americana, che giusto o sbagliato che fosse avrebbe dovuto essere preso nella sua integralità. Mi spiego meglio. Se prendiamo un’auto, una Ferrari o una Cinquecento, entrambe sono buone. Dipende però dall’uso che ne facciamo. L’utilitaria va benissimo se vuoi andare avanti in modo tranquillo e spendendo poco. La Ferrari invece è perfetta per chi ha i soldi per mantenerla e i piloti per guidarla. Quello che non si può fare è avere una Ferrari con il motore della Cinquecento, o viceversa. «Ecco, noi abbiamo preso questo processo alla Perry Mason senza attuarlo con tutte le sue conseguenze. Abbiamo preso una Ferrari con il motore della Cinquecento con il risultato che il bolide si è inceppato», ha detto Carlo Nordio che per 40 anni è stato Pubblico Ministero. «In Italia il Pm è l’unico organismo al mondo, e sottolineo al mondo, che ha un enorme potere senza nessuna responsabilità. Lo dico a ragion veduta. Noi pubblici ministeri siamo i capi della polizia giudiziaria, quindi possiamo indagare quando vogliamo, come vogliamo nei confronti di tutti senza però rispondere a nessuno. Questo potere che noi abbiamo preso dal pubblico ministero americano non è compensato dal fatto che negli Usa, ad esempio, è eletto dal popolo. Se sbagli indagini o se ti dimostri incapace vieni mandato a casa. In Italia con questi stessi poteri se il pubblico ministero sbaglia, spende un sacco di soldi e tempo per processi inutili, come si è visto, poi viene promosso. Questa è una delle ragioni per cui in Italia la giustizia è fallita: abbiamo dei forti poteri da parte della magistratura che non sono bilanciati da altrettante responsabilità», ha spiegato Nordio. «Ultimo atto» si divide in pratica in tre parti. La lettura inizia con la storia di Tangentopoli, si passa alla crisi tra politica e magistratura degli ultimi sette anni e si chiude con gli ultimi referendum (Nordio è stato il presidente del Comitato dei Sì) e un’ottica al futuro. Un libro ricco di aneddoti, interpretazioni e collegamenti per un autore che da persona liberale pone al centro l’individuo e la tutela della persona prima dello Stato. «Giustizia. Ultimo atto» parte dal contesto di Tangentopoli.

«Mani Pulite è la conseguenza della caduta del Muro di Berlino. Pochi si resero conto che stava cambiando un’epoca non solo dal punto di vista internazionale ma anche in Italia dove esistevano due partiti, la Dc e il Pci, che si reggevano a vicenda. Giocavano uno sulla paura dell’altro e si alimentavano uno (la Dc) sulla paura del regime comunista, l’altro sul malgoverno. Quando cadde il muro di Berlino entrò per primo in crisi il Pci, ma di conseguenza anche la Dc che trovava la sua legittimazione sull’avvento del comunismo. E cosa c’entrano le imprese? Facile. Tutte quelle grandi che lavoravano con gli enti pubblici erano costrette, o indotte, a finanziare i due partiti di riferimento. Difficile dire se si trattasse di corruzione, concussione o finanziamento illegale dei partiti sta di fatto che i partiti si mantenevano attraverso le tangenti pagate dalla grandi imprese pubbliche. Una volta caduto questo bilanciamento tra i due partiti il costo della politica aumentò perché s’introdusse un terzo soggetto, il Psi di Craxi. «Un grande statista, che però squilibrò la convivenza tra Dc e Pci e che aveva bisogno di farsi finanziare», ha ricordato Nordio. L’Italia si trovò di fronte a tre e poi più partiti che continuavano ad assorbire finanziamenti delle imprese. Costi alla fine eccessivi. I privati che non avevano più convenienza ad assecondare i partiti». Da lì il muro si sgretolò e gli imprenditori cominciarono a collaborare «perché conveniva così».•.

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