LE TESTIMONIANZE

«Il cancro alla mammella non è sentenza di morte»

Tante le persone pronte a raccontare la propria complessa esperienza
Lo sport è sempre consigliato per prevenire la malattia e per affrontarlaLa lezione di acquagym, un momento importante per il fisico e la mente
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Sono tante le storie delle donne Ados. Raccontarle fa bene perché fa capire che la diagnosi di tumore al seno non coincide con una sentenza di morte. È il messaggio forte della presidente Graziella Iacono, la cui storia è quella di molte amiche: ecografia e mammografia di controllo, un’immagine sospetta, biopsia, asportazione, chemioterapia, nel suo caso quella rossa, pesantissima come effetti collaterali. «Via i capelli - ironizza Iacono -, mi misi una bella parrucca liscia e bionda, che rimaneva a posto anche se pioveva. E poi espansori, riempimenti settimanali, protesi, seni nuovi tondi e sodi». Così si racconta Graziella con il suo consueto sarcasmo di donna che ha saputo trasformare la paura in forza. A distanza di oltre 20 anni scherza per far capire a chi sta vivendo l’incubo, che come molte altre è ancora viva e felice. «Avevo compiuto 42 anni e mia figlia aveva appena iniziato la prima elementare. Ero terrorizzata di non riuscire a vederla crescere. Quando facevo la chemio e lei si accorgeva che dovevo correre in bagno a vomitare, mi apriva le porte per fare prima e poi, di nuovo sul divano, mi rimetteva il plaid addosso. È stata una grande forza per me. Ho superato quei mesi bui con la sua manina dentro la mia e mi è sembrato che fosse un angelo del paradiso».

Aveva pochi anni in più
Raffaella G., socia di Ados. Anche lei si è dovuta sottoporre a mastectomia e a svuotamento del cavo ascellare. «Paura, rabbia, confusione mi hanno accompagnato soprattutto nei primi momenti. Poi ho imparato a reagire e a vivere giorno per giorno questa esperienza che, pur brutta, mi ha dato la possibilità di incontrare persone nuove e condividere con esse emozioni e percorsi di vita» racconta a 6 anni dal fatto. Come per molte altre a far la differenza è stata la prevenzione, senza la quale la malattia sarebbe potuta degenerare in una pericolosa inconsapevolezza. Anche Daniela S. ricorda la diagnosi quando era mamma. «Un figlio di 4 anni e una figlia di 16, io di 42 anni, un intervento per togliere un piccolo nodulo al seno – racconta -: mastectomia radicale con scavo ascellare. Niente chemio o radio, ma una terapia ormonale che mi manda in menopausa». Mesi pesanti, dice: «Una mutilazione dura da accettare, dolore al braccio, controlli frequenti, gli amici imbarazzati quando ti chiedono come stai – continua -, poi qualcuno mi parla di Ados, inizio a frequentare la palestra e ne traggo beneficio fisico, ma soprattutto trovo calore, amicizia, condivisione. L’ora di ginnastica diventa un momento di benessere e di serena condivisione». Tra le storie c’è anche quella più recente di Marilena M., 69 anni, con diagnosi nel 2019. «Appena il medico mi vede, mi dice: c’è. Cosa? Chiedo io. Il tumore, mi risponde!». Prima dell’intervento Marilena non rinuncia al suo viaggio in Romania e serba il segreto con tutti, anche con il figlio allora all’estero per studio. L’operazione la fa al rientro, quadrante e cavo ascellare, poi a casa con l’odioso drenaggio per 10 giorni, radioterapia e cura ormonale. C’è anche chi l’ha scoperto con l’autopalpazione, altra buona abitudine che ogni donna, anche le più giovani, dovrebbe imparare a fare con costanza. È il caso di Annamaria A. «Avevo eseguito solo 6 mesi prima lo screening mammario, che era risultato negativo – racconta -. Eseguiti gli accertamenti del caso, mi fu diagnosticata una neoplasia mammaria con recettori ormonali positivi». Da lì ha inizio il percorso terapeutico con chemioterapia seguita dall’intervento chirurgico di mastectomia, asportazione dei linfonodi e posizionamento di espansore mammario e poi un altro ciclo di 3 mesi di chemio e un ciclo di radioterapia e, a seguire, terapia ormonale per 8 anni. «Ados mi ha aiutata nell’ultima fase del cammino, perché solo allora ho avuto l’occasione di conoscerla. I momenti di incontro e l’attività motoria svolta con altre donne hanno rappresentato un’occasione unica di condivisione di questo complesso cammino».


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Mi.Bo.
 

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