«Così trent’anni fa
il muro di Berlino
crollò davanti a noi»

di Anna Castoldi
Il ritrovo trent’anni dopo: stesso entusiasmo SERVIZIO FOTOLIVE/Alessio Guitti
Il ritrovo trent’anni dopo: stesso entusiasmo SERVIZIO FOTOLIVE/Alessio Guitti
Il ritrovo trent’anni dopo: stesso entusiasmo SERVIZIO FOTOLIVE/Alessio Guitti
Il ritrovo trent’anni dopo: stesso entusiasmo SERVIZIO FOTOLIVE/Alessio Guitti

9 novembre 1989: per qualcuno la fine della storia. Per qualcun altro un giorno impresso nella propria, personalissima storia: nove amici bresciani erano lì. Sentirono il silenzio e le urla, videro le lacrime e gli abbracci, si unirono all’indimenticabile festa di quella notte: la notte in cui cadde il muro di Berlino.


LA VOCE di Claudia Siracusa vibra ancora per l’emozione rievocando quei giorni: aveva 22 anni quando partì per uno scambio culturale insieme all’Aiesec (l’Associazione internazionale degli studenti di economia e commercio), in compagnia di otto compagni di corso dell’Università di Brescia. «E pensare che è successo tutto per caso - racconta -. Non facevo parte dell’Aiesec: fu Palmira, un’amica di Lecce, a convincermi ad andare a quella riunione. “Dai, sono simpatici” mi disse». L’incontro serviva a definire i preparativi per la Settimana Internazionale Aiesec, che quell’anno si sarebbe svolta proprio a Berlino dal 5 all’11 novembre. Sarebbero partiti nove studenti: Luca Zaini, Edda Zoli, Stefano Boccaletti, Rosaria Fausti, Leonardo Cullurà, Michela Compagnoni, Alberto Bertolotti, Francesco Cigala e… «Palmira aveva lasciato il passaporto a Lecce - svela Claudia - quindi c’era un posto vacante. Timidamente alzai la mano e dissi: ecco, io il passaporto ce l’avrei». Così in una fragrante domenica di novembre la comitiva monta sul mitico Bedford di proprietà dello zio di Francesco. Ma in Germania Est la benzina comincia a scarseggiare: «In mezzo al nulla - prosegue Alberto -, così usciamo dall’autostrada sperando di trovare un paesino con un distributore. Il pulmino si ferma, scendiamo a chiedere aiuto. Arriva un gruppo di ragazzi e io, che non so la lingua, provo il dialetto bresciano: “Ghe mia ’n canister?”. Non sapevo che “Kanister” in tedesco significasse proprio “tanica”: ce ne portano una e riusciamo a fare il pieno».


FINALMENTE il gruppo giunge a Berlino Ovest, dove incontra gli altri studenti Aiesec: tedeschi, russi e francesi si uniscono all’avventura. Inizia un’agenda folta di impegni: visite ad aziende e partner commerciali, ma anche alle attrazioni culturali e artistiche della città, dalle gallerie d’arte al castello di Charlottenburg, tra un locale jazz e un concerto alla filarmonica. Euforici e incantati i ragazzi arrivano all’8 novembre, giorno della visita a Berlino Est: «Nessuno di noi poteva immaginare che sarebbe stato l’ultimo della sua esistenza - riflette Claudia -. Ci diedero un permesso speciale per la metropolitana: le stazioni tra Est e Ovest erano interdette al pubblico». E così, sfrecciando sotto il confine, il gruppo raggiunge l’altra faccia di Berlino. «Ci venne a prendere Otto, un membro Aiesec di Berlino Est. Lui non poteva oltrepassare il muro: agli abitanti della città era proibito». Gli amici ricordano una città scialba, con strade spoglie e case fatiscenti: «Fummo colpiti dal contrasto con la vivacità di Berlino Ovest. Cenammo in un locale, il KLO. Eravamo in tanti, ma non potemmo unire i tavoli: erano vietati gli assembramenti». La cupa atmosfera della DDR si scioglie presto nell’allegria della giornata successiva: quel 9 novembre i nove amici partecipano a una «spray session» per scarabocchiare ciò che vogliono su un tratto di muro bianco, predisposto per l’occasione (dopo ogni spray session veniva di nuovo sbiancato). La sera c’è l’attesa cena italiana, con pasta per tutti: pentole, risate, profumo di sugo e una partita alla televisione. Finché il programma viene interrotto da un’edizione straordinaria: sono circa le 20.30. Gli stranieri, che parlano solo inglese, non capiscono; i tedeschi, invece, ammutoliscono. «Diventano statue di sale, fulminati. “What is happening?”, chiediamo. Loro, con un filo di voce: “The wall is down”». Il muro è giù. Il muro è caduto. Le parole rimbalzano per la stanza, vengono ripetute nelle strade, urlate alle finestre, trasmesse come una scarica elettrica a tutta la città: «Eravamo in pigiama, pronti per un pigiama party - rievoca Stefano - ma ci bastò infilare le giacche. Saltammo in macchina, per strada era un delirio, Berlino Ovest si era data appuntamento alla porta di Brandeburgo e al Checkpoint Charlie».


LE FRONTIERE sono finalmente aperte, travolte da un fiume di gente. «Scardinammo un palo - rammenta Francesco - e lo usammo per picconare il muro. Tutti noi ne abbiamo preso un pezzo». Rosaria, la più scatenata, sul muro ci sale pure: «In verità fui più trascinata - precisa -. Alla porta di Brandeburgo il muro era largo, ci stavamo in tanti. Un polacco mi abbracciò, cantammo insieme canzoni di cui non conoscevo le parole. Poi la VoPos (polizia della DDR) ci scaricò addosso gli idranti: ero gelata, corsi a casa a cambiarmi». «Dovettero chiudere le metropolitane, intasate - aggiunge Stefano - ricordo una coppia di anziani che piangeva (tutti piangevano) e mi raccontava del figlio che non vedeva da anni e anni, perché il muro aveva trapassato la città dividendo famiglie. Sentii un groppo in gola». Claudia non trova le parole. Come la cartolina mandata il giorno dopo ai genitori, con le firme e un P.S.: «Non ho parole». «Tornammo a casa al mattino. Quella notte ha segnato la mia vita e la mia generazione: da lì è nata una voglia di internazionalismo, di comunicazione, di superamento delle barriere». Quella notte creò un legame unico tra tutti coloro che la trascorsero lì, sotto il muro. Un legame vivo ancora oggi, trent’anni dopo.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti