Nel Veronese

Pietro Maso, viaggio nel cimitero in cui sono sepolti i genitori

di Paolo Mozzo
Dopo l’ultima intervista di Pietro il nostro viaggio sulla tomba dei suoi genitori
Il cimitero nel quale sono sepolti Mariarosa e Toni Maso. E Pietro, nell'ultima intervista
Il cimitero nel quale sono sepolti Mariarosa e Toni Maso. E Pietro, nell'ultima intervista
Il cimitero nel quale sono sepolti Mariarosa e Toni Maso. E Pietro, nell'ultima intervista
Il cimitero nel quale sono sepolti Mariarosa e Toni Maso. E Pietro, nell'ultima intervista

Vigneti estesi a tappeto. Un cappello di nuvole incombe sul verde delle colline macchiate del giallo d’autunno avanzato. Auto e furgoni come una litania ininterrotta sull’asfalto. Una ragazza cammina lenta sul ciglio delle strada, in spalla uno zainetto nero da cui dondola un orsacchiotto bianco. Montecchia di Crosara: poca gente in giro, un cimitero isolato e ampio, con settori di recente aggiunta, a ridosso dell’antica chiesa rettoriale di San Salvatore.

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La tomba nascosta

Inutile cercare tracce evidenti. La tomba delle vittime del «caso» di patri-matricidio che scosse l’Italia, ormai più di trent’anni fa, è nascosta. Una targhetta in ceramica, in forma di pergamena, con la foto sorridente delle due vittime, applicata sulla lapide di Domenica Ambrosi, mamma di un papà ucciso e nonna di colui che del delitto porta il peso. La dedica, date le circostanze, è per forza generica: «I vostri cari». Un mazzo di fiori finti, l’immagine della Vergine, la «lux perpetua» accesa. Tutto qui.

A prima vista poco è cambiato dal 1991. Da quel 17 aprile in cui Pietro Maso, diciannovenne inquieto all’epoca, insieme con tre amici, uno dei quali neppure maggiorenne, uccise a freddo i genitori, Mariarosa Tessari e Antonio, detto «Toni». Ventidue anni di carcere, una redenzione sofferta, anche sotto l’ala protettrice e paziente di don Guido Todeschini, fondatore ed anima di «Telepace». Un futuro ricostruito, pezzo per pezzo, incluso un matrimonio poi naufragato. Volontariato. E ora quella che, assicura, dovrebbe essere la sua «ultima intervista» (tra le tante rilasciate negli anni) per la trasmissione di Raiuno «Cronache Criminali», condotta da Giancarlo De Cataldo.

 

La sua «ultima intervista»

«Mi mancano, li sento vicini spiritualmente. Ma vorrei potere dire loro “vi voglio bene“, la cosa che non ho mai detto. Tutto ciò mi manca, ne soffro». Assicura di vivere «per cercare di essere una persona migliore, decisa ad affrontare il passato, a capire il perché di quanto ho fatto». È un uomo, cinquantenne, che vorrebbe «tornare indietro, ridare la vita ai miei genitori». Ma la vita umana, purtroppo o per fortuna, non prevede il tasto «canc» dei computer, né il vecchio «riavvolgi» dei mangianastri. 

 

«​Se lo ricordemo anca adesso»

Tira una brezza sottile e umida sulle tombe, tante quelle «in terra», come si usa nei paesi. Dove stanno quei poveri genitori traditi? «I l’ha tirà su (esumati, ndr)... è passà tanto tempo, ma se lo ricordemo anca adesso», spiega un’anziana. Una ragazza, accanto a lei, aiuta a sistemare i fiori su una sepoltura. «Brutte memorie, cose di questo genere, qui, non ne sono più successe ma al mondo, ormai, accade anche di peggio», commenta, prima di tornare alla cura della tomba. Saggezza antica dei vecchi, in tempi in cui si uccidono donne per gelosia, si spingono vite al suicidio per bullismo e tornano le vecchie maledizioni del morbo e della guerra.

Dove sarà quella tomba? Tra centinaia, con i cognomi ripetuti delle dinastie della zona. Le due anziane, come «pie donne» avvolte nelle giacche imbottite contro l’umidità che sale dalla pianura, non esitano e puntano il dito. «L’è là, sotto il terzo volto», indica una di loro. Fanno da guide, nel deserto del cimitero, mentre va calando la luce insieme con le nuvole. «Difficile dire cosa sia successo», ammettono ad una voce Annalia Tiziani e Lidia Ferrari.

«Pentito? Poco ma sicuro se ci fosse qui la sua mamma gli direbbe che l’è sta un colpo de nervoso. Chissà cosa gh’è vegnù nela testa. Ma noi madri, si sa, perdoniamo sempre». Si lasciano andare ai ricordi, «anche se qui tutti cercano di dimenticare, perché è stata una cosa brutta e lui (Pietro, ndr) il primo a farla», ammettono. Già, quel primato maledetto (allora) che ferì Montecchia nel 1991, cicatrice che ancora non è del tutto spianata.

 

Il ricordo di Mariarosa e Toni

«La Mariarosa stravedeva per quel ragazzo, ovviamente anche per le due figlie. Ma lui... era il piccolo di famiglia. Toni? Una persona meravigliosa», racconta Lidia, che vive a due passi da quella casa che, allora, fu invasa dagli investigatori alla ricerca di una tremenda verità. Neppure il Pietro ragazzo sembra quello dell’agguato a papà e mamma. «Conosceva mio figlio, il quale si è sposato giovane, da allora si erano persi di vista. Ma lui... me lo ricordo: al supermercato si offriva di aiutarmi con la spesa. Io declinavo perché», sorride, «a quei tempi ero giovane, avevo la mia auto».

Non c’è nessuno tra le tombe, solo le due donne che riavvolgono il nastro di ricordi difficili da raccontare. «Io qui vengo solo il mattino, mai nel pomeriggio perché mi viene tristezza. Oggi mi ha convinto lei», ammicca indicando Annalia. Se ne vanno nella luce che cala. Commentano una memoria che ha fatto irruzione nelle loro vite, trent’anni fa, nell’aprile che ha segnato tutta una comunità. Il paese, poco sotto la collina del camposanto, è già in ombra. Il cielo è grigio, spegne anche i fiori. Una piccola statua del Cristo dal mantello azzurro ed i secchielli per l’innaffiatura appesi all’ingresso sono gli unici colori rimasti. Il silenzio è totale.

Oltre a una pergamena di ceramica e una foto. Di fronte a cui sostano solo le figlie di Toni e Mariarosa. «Brutti ricordi» di un delitto, di due vite strappate ed altre stravolte. L’unico segno del mondo di fuori è l’abbaiare di un cane. «Vorrei dire loro “vi voglio bene“», dice di fronte alle telecamere Pietro, quello «nuovo». Forse è vero. E forse sarebbe perdonato per il «colpo de nervoso». La risposta è impossibile. Meglio andare via di qui, giù, verso il traffico e le luci di un mondo che, da quel 1991, «ne ha viste e fatte anche di peggiori».

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