Il «San Martino della Battaglia» inverte la tendenza e rilancia

di Claudio Andrizzi
LA RISCOPERTA. Al via da questa settimana la vendemmia nel comprensorio della piccola Doc. Numeri limitati, ma in aumento per un bianco che «riconquista»
Il «San Martino della Battaglia Doc» rinnova la sfida sul mercato
Il «San Martino della Battaglia Doc» rinnova la sfida sul mercato
Il «San Martino della Battaglia Doc» rinnova la sfida sul mercato
Il «San Martino della Battaglia Doc» rinnova la sfida sul mercato

Prende il via questa settimana la vendemmia delle uve per il San Martino della Battaglia Doc: un piccolo grande vino bresciano che, dopo alcune annate a rischio estinzione, sta vivendo una stagione all'insegna della riscoperta. I numeri sono sempre limitati, ma la crescita è indiscutibile: basti pensare che nel 2011 l'imbottigliato registra una crescita a 325 ettolitri (pari a circa 40 mila pezzi) contro i 121 dell'anno prima. Ma è soprattutto il confronto con il 2009 - con soli 85 hl -, a far ben sperare per il futuro di un prodotto di grandi tradizioni, per anni il bianco più gettonato nelle osterie della «Leonessa»; poi, complice la concorrenza del vicino Lugana, va registrata la progressiva perdita di ettari e favori del pubblico.
DA QUALCHE anno, però, si sta registrando una decisa inversione di tendenza, grazie soprattutto a un manipolo di coraggiosi produttori che continuano a credere nelle potenzialità di questa tipologia. Fra questi c'è, senza dubbio, Luca Formentini, proprietario dell'azienda agricola Selva Capuzza, dalla quale esce il «Campo del Soglio» da molti indicato come il vino alla base della rivitalizzazione della produzione. «Fino a poco tempo fa il San Martino era un vino praticamente dimenticato, di cui nessuno voleva nemmeno sentir parlare - spiega il giovane produttore gardesano -. Oggi è diventato nuovamente una delle proposte più interessanti del territorio gardesano, grazie a un percorso di riscoperta che ha fatto crescere sia la curiosità degli appassionati, sia l'interesse dei ristoratori».
OGGI LE etichette disponibili sul mercato, oltre al Campo del Soglio, sono sei: si va da quelle di produttori storici come Spia d'Italia di Lonato, rimasta ormai l'unica cantina a proporre il San Martino Liquoroso, nobile variante da meditazione e fine pasto, o Civielle di Moniga, passando per aziende come Cobue, Pellizzari, Citari e Cascina Preseglie. La gamma si è decisamente ampliata, e anche questo sta favorendo iniziative come quella in programma il 22 e 23 settembre a Desenzano, dove il San Martino sarà protagonista di una rara sessione di degustazione. Se la crescita di interesse nei confronti della storica denominazione (la Doc risale al 1970) è un dato ormai certo, a rimanere irrisolto è il problema del nome del vitigno. Come è noto, qualche anno fa la Comunità Europea vietò all'Italia l'utilizzo del nome Tocai, riservandolo all'Ungheria: le istituzioni hanno assegnato nomi alternativi alle produzioni del Friuli (Friulano) e del Veneto (Tai), ma nessuno ha pensato alle uve di questa tipologia coltivate a San Martino. Da allora, le bottiglie del Campo del Soglio escono con un provocatorio punto di domanda in etichetta. «È una questione davvero paradossale - afferma Formentini -. Ma visto il rinnovato interesse, sta nascendo fra i produttori l'idea di riunirsi per trovare finalmente una soluzione».
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