Beppe Salmetti: «Torno a Rovato per lanciare il festival dei luoghi comuni»

di G.Paolo Laffranchi

Paradossi dei luoghi comuni: più li sfati e più ne spuntano; più li svesti d'ogni zavorra e più ti riportano a contatto con la terra, proprio la tua. Per costruire qualcosa di diverso, di tuo certo ma potenzialmente di tanti se non di tutti: oltre i luoghi comuni, ahssì!, ma nel tuo luogo per eccellenza: quello di nascita. Bello, no? Giocare con le parole, spingersi avanti, misurare il passo indietreggiando mai. È la vocazione - un po' missione, anche stile di vita - di Beppe Salmetti. Bresciano di Rovato, artista uno e trino: attore, autore, presentatore. Sulla scena come in cuffia, visto che su Radio 24 è fra i conduttori di «Off Topic - Fuori dai luoghi comuni» (sabato alle 21, domenica alle 23.10), il programma che ha maturato esperienza anche fra i palchi di Zelig e Filodrammatici e che ha ispirato «Pour Parler», la rassegna culturale al debutto da giovedì 23 a domenica 26 giugno naturalmente a Rovato.Il paese di Salmetti ospiterà in diverse location quattro serate a ingresso gratuito «all'insegna del divertimento, della leggerezza e della chiacchiera intelligente. Si alterneranno presentazioni di libri, momenti di intrattenimento e spettacoli serali». Incontri con autori, performance di teatro-circo e stand di mercatini vintage; interverranno, fra gli altri, David Parenzo e Adrian Fartade, Roberta Villa, Paolo Cevoli e Giada Messetti, oltre al co-conduttore di Off Topic Riccardo Poli, per una rassegna che può vantare la partnership col Festival dei Luoghi Comuni organizzato a Cuneo sotto la direzione artistica di Marco Aime e Lucio Caracciolo.«Speriamo che questa nostra prima edizione sia murata di gente - sorride Salmetti -. E che sia solo l'inizio, e che sia sempre più un gioco di squadra come è stato per il festival di Paolo Fresu a Berchidda. Vogliamo scardinare gli stereotipi con ospiti trasversali, dal mainstream di Cevoli all'astronomia di Fartade. Del resto siamo tutti nati sotto lo stesso cielo. Dobbiamo solo volerci bene».

Profeta in patria a Rovato. Frazione Sant'Anna. O meglio: nasco a Rovato, dall'adolescenza sto a Sant'Anna, poi torno a Rovato che rimane il mio centro anche se da 12 anni ho casa a Milano. Qui sono cresciuto, fin dalle elementari con la maestra Nicoletta. Non dalle suore: sono ateo praticante da sempre, a chi la pensa diversamente dico sempre che lo so, si muore ed è brutto, ma per affrontare la cosa sono stati scritti tanti libri... E si possono leggere. Comunque: anche le medie le ho fatte a Rovato; le superiori invece a Chiari; quindi ho iniziato a lavorare con mio papà, in un'azienda di detergenza tessile. Ramo ospedaliero.

Com'è stato l'ingresso nel mondo del lavoro?
Ho capito che lavorare fa schifo. Il lavoro in fabbrica è alienante e struggente: un operaio dovrebbe guadagnare molto di più e lavorare molto di meno.

Un attore, invece?
Sta bene anche se guadagna poco! Quando passi la vita a leggere Shakespeare, come fai a stare male? Così perdoni il fatto di non guadagnare troppi soldi. E non capisco chi snobba gli attori per hobby, o i dj per hobby: la loro passione alza il livello.

È cresciuto alla scuola dei Filodrammatici.
Mi piace sottolineare che ho frequentato la stessa accademia di Garibaldi. Su un grande registro c'è anche la sua firma. La stessa accademia che allontanò Alberto Sordi perché non studiava dizione. Troppo romano...

E certo: come poteva avere successo?
Difatti!

L'attitudine conta più di tutto?
C'è un flusso che ci riporta sempre alla nostra natura, dopo tutte le esperienze.

Cosa sognava di diventare, da ragazzo?
Volevo fare il comico. E il disc-jockey, quello che mette i dischi e parla. L'accademia mi ha totalmente ribaltato: ero una testa calda, ho capito che c'era dell'altro. E alla fine evidentemente ero un buono e quegli eccezionali insegnanti di teatro mi hanno insegnato anche la vita.

Cos'è recitare?
Sul palco si creano delle connessioni. Ci si tocca, impariamo a capire i nostri stati d'animo. Noi non ci conosciamo davvero, una grammatica dell'anima non esiste.

Può esserlo il teatro?
Sì. Grazie al teatro si impara la vita.

Incontri epifanici?
Cechov, assolutamente. E Stanislavskij mi ha cambiato: con il suo metodo non vuoi più recitare un ruolo, ma essere quel ruolo.

Cosa vuol essere ora?
È in fase di scrittura una versione del Don Chisciotte. Ho saputo che Bud Spencer avrebbe dovuto farlo con Terence Hill per la regìa di Mario Monicelli: «Le abbiamo date per un sacco di tempo, ora tocca prenderle» sarebbe stato il punto di partenza. Io immagino uno spettacolo dal punto di vista di due controfigure che vorrebbero avere successo e non ci riusciranno. È bello che non ci riescano: in questa società esasperata dal successo accettare il fallimento, la miseria, è una sfida contemporanea. È il tema della morte, su cui sto lavorando anche per uno spettacolo di stand-up.

Palco, radio: strumenti diversi?
Sì. Entrambi liberi. Il mio editore, il Sole 24 Ore, mi dà totale indipendenza. In un contesto simile occorre la lucidità per dire quello che veramente vuoi esprimere. Conta la scelta delle parole.

Le parole sono importanti.
Sì, che si tratti delle poesie di Patrizia Cavalli o dei testi di Ricky Gervais. In radio l'effetto lo vedi subito: messaggi, mail... In teatro il pubblico respira con te, ma nessuno sale sul palco per dirti quello che sta pensando; l'ascoltatore ti rimanda tutto e chi ascolta Radio 24 non cerca musica, vuol sentire cos'hai da dire. Così la radio diventa dialogo.

La filosofia di Off Topic?
Ho chiarito il mio pensiero fin dall'inizio a Riccardo Poli: «A fine serata andremo a berci le berrette, ma in onda sappi che io se posso ti accoltello. E voglio che tu faccia lo stesso con me». .

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