INTERVISTA

Bruno Rinaldi

«L'arte è sinonimo di libertà: non si stanca mai di resistere»

Resistere, oggi. È nei frammenti che ancora scintillano, da maneggiare e custodire con cura, di un mondo sopravvissuto a decenni di restaurazioni. È in una schiena diritta che non conosce età, orgogliosa dei suoi acciacchi come dei suoi «no». È in via Achille Papa, in città, fra le tele di Bruno Rinaldi. Ottantotto anni portati a testa alta, un percorso veramente e costantemente in direzione ostinata e contraria. Da precursore radicale, «per niente pentito». Ti accoglie e siede in compagnia di Emidio Rossi, suo grande amico, il maestro di tennis appassionato d’arte per cui ha realizzato opere dedicate a Pirlo e agli altri campioni del mondo di Germania 2006. Ti squadra e dice cos’è per lui essere artista (oggi e sempre).

L’arte è...
Libertà. Li-ber-tà. Non si stanca mai di resistere. Io a Brescia sono stato inviso perché ero dichiaratamente di sinistra. La nostra città è di centrosinistra in teoria, nella pratica ad ogni livello è sempre stata essenzialmente democristiana. Non troppo laica.

Resistenza, la sua scelta di campo.
Qua a casa mia ne siamo pieni...

Rivoluzioni dipinte, masse senza volto in lotta con la vita.
Senza volto, certo: tocca a te spettatore metterti davanti al quadro e cercare di entrare nell’argomento, capire il contesto. Renderti conto che quello che lotta e soffre potresti essere tu, potrei essere io.

Non solo, ma anche in Italia.
Certo. Il popolo italiano secondo me è prevalentemente di destra, reazionario; qui c’è un Pd ex Pci ex Pds ex Ulivo ex tutto... che ha perso gli intellettuali. E c’è sempre una forte disparità fra Nord e Sud, storica causa di divisioni e differenze. Nel Paese in cui siamo oggi più che mai serve tenere il punto sui diritti civili, politici e sociali.

Si ricorda la guerra?
Certo. Ho fatto le elementari da sfollato negli anni ’40.

Ricorda anche com’è nata la sua passione per l’arte?
Sempre avuta, innata. Abbiamo cominciato a 15 anni, io e il mio amico Aldo Bresciani che era di Prevalle ma abitava a Brescia in via Solferino. Abbiamo messo in piedi il primo studio insieme una volta tornati dal servizio militare. Mio padre aveva preso casa in via Antonio Bianchi: abbiamo portato 20 quintali di carbone sul solaio per poter ricavare il nostro primo spazio in cantina, con una finestrella. Poi abbiamo fatto uno studio eccezionale in vicolo del Carro. Io lavoravo da vetrinista e mi son dovuto fare le ferie lì a rompermi le mani per ricavarne uno veramente bello. Nel 1960 ne ho inaugurato uno mio in via Mazzini. Quindi in vicolo Urgnani, dove tenevo 2-3 mila libri, e in vicolo del Moro... Ne avevo uno splendido anche in contrada delle Cossere.

Autodidatta, ha iniziato a dipingere nel 1950 sotto la guida dello scultore Domenico Lusetti.
Figura fondamentale per me, come lo spagnolo Julian Pacheco che ho incontrato nel 1968: non dimentico la sua ricerca sulla nuova figurazione, abbinata a una tematica basata sull’analisi di contenuti sociali. Nel 1972 con i pittori Eugenio Comencini, gli spagnoli Pacheco, Antoni Mirò e il critico Floriano de Santi ho fondato il gruppo Denunzia.

Ha cominciato a fare incisioni, affiancato le stampe alla ricerca pittorica, prodotto negli anni ’70/80 i cicli «Emigrazione» e «La Risiera di san Sabba» a Trieste, nei ’90 le cartelle i «Miti» e «Parole e immagini della Resistenza», nei 2000 «Le stanze dei poeti» e «Le radici europee»: insomma, non è rimasto a lungo con le mani in mano.
Il mio primo gruppo di lavoro era composto da Luciano Salodini, Gian Butturini, Aldo Bresciani e Giancarlo Bendinelli. Tutti tra i 16 e i 19 anni. Il gruppo Denunzia è durato circa 6 anni, 2 italiani e 2 spagnoli. In nessun Paese i pittori sono considerati e influenti come in Spagna. C’è di là, lo vede? Un quadro di Antoni Mirò. Lui ha fatto mostre anche a Brescia. Vive a 30 chilometri da Alicante. È uno spagnolo, ha mosso tanto. Come me Mirò non si è mai arreso.

Com’è nato il ciclo della Risiera di San Sabba?
È successo che io stavo andando a Milano per proporre una mostra e nella bancarella davanti alla stazione vendevano libri: mi cadde l’occhio su un’immagine della Risiera. Mi fermai, presi il libro, arrivai alla galleria e feci una telefonata riuscendo a trovare l’autore. Anche il presidente dell’Associazione nazionale deportati politici è venuto a vedere la mostra, anzi sono venuti in tanti dell’Aned e quando hanno visto le mie opere si soo messi a bestemmiare: nel 1978 avevano appena speso un centino di milioni di vecchie lire per la mostra di un pittore che non era certo da applaudire per quello che aveva fatto! Dopodiché ho fatto altre mostre, tante e in luoghi stupendi: a Palazzo Barberini, al Castello Sforzesco nel 1981, alla Maison de l’Unesco a Parigi nel 1982... Con le mie opere sono arrivato anche all’estero. 

Ha partecipato a varie rassegne e biennali collettive in Usa e Urss, Francia e Spagna, Olanda e Inghilterra, Germania e Svezia. Com'è approdato con la sua arte alla Comunità Europea?
Ho sempre seguito i temi, non mi accontentavo di fare un quadro: io volevo esaurire un discorso. A Brescia ho fatto anche una mostra sulle Radici Europee, di quadri e incisioni.

Se fosse giovane oggi?
Ho il computer, ecco qua. Mi adatto ai tempi, non mi pongo problemi.

Si è dedicato anche a temi sportivi, come le maratone di recente. E nel 1986 aveva fatto un lavoro sulla Mille Miglia fra cronaca e storia proprio per Bresciaoggi.
Una cartella di 20 acqueforti per la Freccia Rossa, sì. Sono appassionato di tutti gli sport.

Cosa pensa dei Mondiali in Qatar?
Per me possono andare a giocarli dove vogliono: non m'interessa, ormai il calcio è soltanto business e nient'altro, non si nobilita se evita il Qatar per andare ad assegnare la coppa del mondo da un'altra parte.

Che squadra tifa?
Ero juventino, ora non più: il problema è che non sono abbastanza allegro..

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