INTERVISTA

Bugo

di Gian Paolo Laffranchi
«Prendo la rincorsa da Brescia per il mio ritorno sul palco»
Cristian Bugatti, in arte Bugo. Il suo ultimo disco, pubblicato su Mescal, è «Bugatti Cristian» FOTO FEDERICO SORRENTINO
Cristian Bugatti, in arte Bugo. Il suo ultimo disco, pubblicato su Mescal, è «Bugatti Cristian» FOTO FEDERICO SORRENTINO
Cristian Bugatti, in arte Bugo. Il suo ultimo disco, pubblicato su Mescal, è «Bugatti Cristian» FOTO FEDERICO SORRENTINO
Cristian Bugatti, in arte Bugo. Il suo ultimo disco, pubblicato su Mescal, è «Bugatti Cristian» FOTO FEDERICO SORRENTINO

Oramai è di casa. Studio bresciano, il Monolith. Band bresciana, Michele Marelli e Luca Manenti come sezione ritmica di una formazione completata da Marco Montanari alla chitarra. Bugo a Brescia: la valigia sul letto, perché presto andrà in tour con i musicisti di questa città; un caffè post-pranzo nel ristorante vicino alla sala di via Biseo, dove prende forma il nuovo corso atteso «da tanti, troppi mesi».

Quando si parte?
La prossima settimana: il 15 siamo a Roma, il 16 ad Acquaviva delle Fonti, il 18 a Segrate... La corsa riparte da qui e non vedo l'ora. Porto con me una formazione snella, di qualità. Michele, il batterista, è al terzo tour con me; lavoriamo insieme dal 2015. Luca, che è anche chitarrista, ha superato una selezione severa per ricoprire il ruolo di bassista. Alla chitarra c'è Marco. Tiriamo i piedi fuori dal fango. A settembre saremo cotti, dopo un'estate in giro. Ma va benissimo così.

Come sono andate le prove, dopo il lungo stop per pandemia?
Molto bene, così come molto bene è andato il set al Concertone del Primo Maggio. In scaletta nel tour ci saranno quasi tutti i pezzi dell'ultimo disco «Bugatti Cristian», parecchi degli album precedenti, forse un omaggio ai Beatles. Ho voglia di stare sul palco, di suonare, di fare squadra. L'ho sempre avuta eh, ma adesso anche di più.

Per via del lockdown?
Perché abbiamo bisogno di respirare. Perché gli altri tour erano più una routine, per quanto desiderabile, mentre ora sento maggiormente la responsabilità: non sopporto i colleghi che parlano sempre e solo di ispirazione, di arte, di sacro fuoco, di robe fricchettone... Tutto giusto, ma vogliamo metterci anche l'esigenza di far lavorare musicisti, fonici, tour manager? La squadra è una famiglia. Finalmente ripartiamo. Evviva!

Tanti gli show in terra bresciana, dal Trinity College al Freemuzik, dal Lattepiù Live alla Latteria Molloy. Ricordi?
Uno in particolare. Al Donne Motori: grande serata, ci fruttò la prima recensione. Poi arrivò l'Mtv Supersonic. E tante altre cose.

Oltre vent'anni di carriera e vent'anni fa era già Bugo, lo stile sghembo e le canzoni ben strutturate: caratterizzarsi da subito è un traguardo già in partenza. Quando ha preso la rincorsa?
A 19 anni. Fino ad allora della musica m'interessava fino a un certo punto.

Ha fatto in fretta.
Ma il tempo è un concetto relativo: Henry Miller è diventato romanziere passati i quarant'anni ed è fra i più grandi di sempre. Io ho deciso di fare il musicista un giorno al mio paese, Cerano, andando a trovare gli amici che suonavano in sala prove: quell'atmosfera di cazzeggio, le birre, le ragazze, la festa... Ho pensato che fosse una figata. Volevo diventasse la mia vita e ci sono anche riuscito. Gli altri hanno smesso, io sono l'unico che ha continuato: la musica era la mia strada.

Cerano-Milano, Italia-India: si è sposato a Nuova Dehli, ha vissuto lì 4 anni prima di tornare. Viaggiare, cambiare non le fa paura. Ha girato tanto perché voleva fuggire dalla provincia?
Quando vivevo in India alla Universal erano affascinati dal fatto che io fossi uno dei pochi artisti pop ad aver scelto di piantare le tende lì, ma nel mio periodo indiano la musica non c'entrava. La svolta per il mestiere è stata arrivare a Milano, farmi conoscere, entrare nell'orbita di una major.

Al Festival di Sanremo ha portato «Sincero» con Morgan e la canzone è stata un successo istantaneo, quest'anno è tornato per passare dall'electropop ad orchestrazioni battistiane (e beatlesiane) con «E invece sì»: la sua cifra è la versatilità.
Dico di sì: io sono sincero, appunto, esplicito anche quando mi riferisco ai colleghi che fanno trap e non uso giri di parole. Il fatto è che alla fine un altro Bugo in giro non c'è. E per me contano le canzoni, mica il contorno o le polemiche. Le canzoni! Come quelle di Jon Spencer, Beastie Boys e Beck, ma anche Daft Punk e Chemical Brothers, Oasis e Nirvana, fino ai Kasabian... Tutti gruppi diversi, accomunati da un solo punto: li amo, mi ispiro a loro. Faccio la mia arte, ma non c'è niente male nel riconoscere che anch'io ho i miei eroi, anch'io ho modelli. Come tutti: c'è chi voleva essere Buddy Holly ed è diventato Bob Dylan. In Italia i miei punti di riferimento sono una triade: Celentano, Vasco, Battisti. Poi ho le mie caratteristiche, ho qualcosa da dire se ho pubblicato 10 dischi in 20 anni e ogni 2 sono sul mercato.

Rock, garage, blues, folk, rap, electro, pop, psichedelia... E funk: stile Jamiroquai, quello dell'ultimo singolo e video «Come mi pare».
Divertente girarlo. Un tiktoker giovane e famoso, Alessio Bucinnà, ha fatto finta sui social di essere mio figlio: un Bugo giovane, per questo nel video compare un vhs... Un pezzo estivo.

Molto diverso da «Mi manca», cantato insieme ad Ermal Meta, con Ambra Angiolini a interpretare il video un anno fa.
L'ho conosciuta grazie al Primo Maggio, non sapevo fosse mia fan oltre che di Meta. La stima era reciproca, l'idea di coinvolgerla è nata così e grazie alla sua interpretazione, davvero eccezionale, il video ha superato 4 milioni di views. Il più visto dei miei dopo «Sincero». Del resto «Mi manca» è una canzone potente, che osa.

Mahmood ha vinto il Festival da outsider e si è fatto conoscere oltreconfine. I Maneskin idem e ora stanno conquistando il mondo. Osare funziona?
Sempre! Ma devi esserne convinto tu per primo. Agli inizi mi scoraggiavano: «Ma tu davvero vuoi sfondare cantanto Io mi rompo i coglioni?» Sì! E sono ancora qua.

La canzone che vorrebbe aver scritto?
«Bollicine». Vasco Rossi in quel periodo era incredibile. Ma lo seguo ancora adesso. La sua sincerità artistica mi colpisce sempre. Non c'è stato nient'altro di così dirompente in Italia, dopo. A parte me, che non assomiglio a nessuno.

Potrebbe considerarsi un padre dell'it-pop, se il suo modo di fare musica non avesse tinte più forti rispetto agli eredi.
Perché io non ragiono come tanti giovani che arrivano al successo oggi: penso a portare avanti una tradizione che parte da Tenco e arriva fino a Vasco.

Il musicista in cui si reincarnerebbe?
John Lennon.

La sua band dei sogni?
Jimi Hendrix alla chitarra solista. Io alla ritmica. Liam Gallagher alla voce. Poi il batterista dei Tame Impala Julien Barbagallo, uno dei Daft Punk ai suoni e agli effetti, diciamo suonista...

E al basso?
Paul.

McCartney.
C'è solo un Paul!

Il posto in cui le piacerebbe suonare?
Uno stadio. Ma ci arrivo.

Musica a parte?
Amo far niente. Ma anche leggere libri, vedere film. Corro, faccio stretching. Gioco a calcio, da sempre. Anche nella Nazionale Cantanti. Ho una moglie, Elisabetta, un figlio di 5 anni, Tito, che quando chiama Alexa dice «Metti il rock and roll».

Sono soddisfazioni.
Grandi.

E si torna alla musica. Che per lei cos'è, esattamente?
È come respirare. Se non respiri, muori.

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