INTERVISTA

Corrado Guarino

di Gian Paolo Laffranchi
«Brescia, la mia avventura Il jazz, una folgorazione»

Improvvisare è come costruire: impossibile senza le basi. E sono ben solide quelle di Corrado Guarino che la musica la fa, l'insegna, la respira. Un amore corrisposto e felice, sbocciato senza affrettare i tempi.«Avevo 22, 23 anni quando ho pensato che la passione potesse diventare una professione» dice riavvolgendo il nastro il docente di composizione jazz al Conservatorio di Brescia, che dopo aver imboccato questa strada non l'ha più cambiata: creazioni, collaborazioni e corsi sono diventati la quotidianità.

Ricorda il suo primo approccio con l'arte?
Dovevo avere 4, 5 anni. Ero un bimbo e a casa mia c'era un pianoforte.

Naturale prendere confidenza.
Sì, come cominciare a prendere lezioni. Cosa che ho fatto, interrotto, ripreso.

Perché si era fermato?
Direi che il solfeggio era fra le ragioni principali.

Un ostacolo che ha scoraggiato molti, anche definitivamente.
Nel mio caso posso dire che ho continuato a suonare sempre, anche nei periodi in cui non prendevo lezioni.

Era predisposto.
Sì, forse sì. Ma non posso certo considerarmi un bambino-prodigio: ho studiato, ho imparato. Non mi sono mai fermato.

Nato a Messina, classe 1957.
Vivo a Brescia dal '74. Ho iniziato a fare sul serio con la musica qui, trasferendomi al Nord con la mia famiglia.

Pieni anni '70: come fu l'impatto?
Un'avventura, scoprire un mondo nuovo. In un cambiamento del genere qualcosa si perde e qualcosa si guadagna sempre. Sono arrivato subito dopo la strage in piazza Loggia. Brescia mi ha conquistato e ho messo radici qui.

Ha studiato anche da autodidatta completare il suo percorso.
Sì, ho sostenuto l'esame di solfeggio e mi sono dedicato al pianoforte, ho studiato composizione con insegnanti privati mentre approfondivo il jazz.

Frequentando i seminari estivi Siena Jazz.
Sono stati importanti per la mia formazione. Ho studiato pianoforte con Franco D'Andrea e ho seguito i corsi di arrangiamento e composizione di Bruno Tommaso. Alle soglie dei trent'anni mi sono diplomato in strumentazione per banda al Conservatorio di Verona, dopo aver affrontato da privatista gli esami fino al quarto anno. Nel frattempo già mi mantenevo con l'insegnamento.

Il jazz è stato una folgorazione?
Devo dire grazie a mio cugino messinese, che ascoltava dischi di questo genere e mi ha trasmesso il suo entusiasmo. Ho cominciato ad ascoltare anch'io, ha collezionato i volumi della Fabbri e mi sono innamorato.

Da cosa è dipeso il colpo di fulmine?
Difficile individuare i meccanismi di un innamoramento. Direi che ha avuto un ruolo decisivo l'attrazione per l'improvvisazione.

Se non avesse scoperto il jazz?
Avrei abbandonato la musica. O forse no. Non era facile entrare in Conservatorio, la prima volta che ho deciso di provarci non sono stato ritenuto idoneo. Ho insistito, ci ho creduto. Erano tempi diversi, il jazz non s'insegnava nelle aule in cui si studiava la musica classica. Fortunatamente in Italia non mancavano i festival, i seminari.

Oggi da questo punto di vista siamo andati avanti.
L'evoluzione è sotto i miei occhi ogni giorno, in casa mia. Ho 3 figli, il più piccolo ha 19 anni e frequenta il Conservatorio. I giovani sono disposti ad ascoltare qualunque cosa molto più di un tempo, anche se non ci sono regole assolute: quando ero ragazzo io c'era maggiore attenzione alle differenze fra i generi. Alla fine i giovani seguono sempre le loro passioni, si entusiasmano e si tuffano in ciò che amano di più. Giusto così, è successo anche a me. Io mi sono concentrato su classica e jazz, mentre pop e rock non sono altrettanto nelle mie corde. Vero che adesso certi confini sono labili, se non spariti del tutto.

Chi l'ha influenzata maggiormente?
John Coltrane, Thelonious Monk. E poi Duke Ellington. Ma direi anche la classica del '900: Stravinskij, Bartok, Ligeti.

Cos'è il jazz?
Non ho l'autorità per dare una risposta che non hanno trovato musicisti illustri nel tempo. Una caratteristica di chi fa jazz rispetto a chi si specializza in altri tipi di musica è l'atteggiamento di chi tende ad appropriarsi della musica che fa. Il musicista che fa jazz vuole esprimere, trasmettere se stesso, dare al suo strumento una voce che sia riconoscibile. Non sempre capita con gli altri generi musicali.

Il jazz è anche poesia, rispetto alla prosa della musica più commerciale?
La poesia c'è in tutte le forme d'arte e in tutte le forme d'arte è importante scegliere come comunicare. Nel jazz come nel pop la comunicazione dipende da chi trasmette e da chi riceve.

Ha collaborato con orchestre jazz e sinfoniche, con Enrico Rava come con Gianluigi Trovesi e Tino Tracanna, realizzando arrangiamenti per ogni tipo di organico. Prossimamente quali orizzonti l'attendono?
Sto scrivendo musica mia. Mi piacerebbe avere un'orchestra jazz con cui poter sperimentare le mie composizioni. Avevo cominciato a provarci con Stefano D'Anna ma si è fermato tutto per la pandemia. A Brescia è difficile, non ci sono molti sbocchi, non si trovano spazi in cui suonare, enti pubblici e privati non si dimostrano molto attenti.

Fra un anno Brescia sarà capitale della cultura insieme a Bergamo...
Il 2023 può essere davvero importante, anche perché sulla scena qualcosa d'interessante si muove: c'è la Grande Notte del Jazz, c'è Jazzontheroad, diversi miei allievi fanno jam e sperimentano fra loro. Bene: il futuro è tutto da scrivere.

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