INTERVISTA

Cristina Comencini

«Le mie radici bresciane dal lago di Garda a Coccaglio»

Romana, certo. Cittadina del mondo, sicuro. Ma con un po’ di brescianità nel Dna. «Mio padre era nato a Salò. Ha lasciato il lago di Garda quand’era bambino», ricorda Cristina Comencini. Figlia di Luigi: uno dei più grandi registi italiani (e non solo) di sempre. La mela non è caduta lontano dall’albero nemmeno questa volta, essendo lei regista affermata (c’era da aspettarselo), ma anche scrittrice di successo e drammaturga esperta. Con trascorsi da attrice e da sceneggiatrice. Papà Luigi, che avrebbe preferito facesse un mestiere diverso dal suo, era figlio di una svizzera benestante di religione valdese, Maria Magdalena, e di un ingegnere, Cesare.

Di dov’era suo nonno?
Era bresciano. Quando è nato mio padre la sua famiglia viveva a Salò per questioni di lavoro, dopodiché per lo stesso motivo con un forte contributo di mia nonna, che proveniva dal mondo dell’industria tessile, decisero di trasferirsi nel sud della Francia, ad Agen.

Un bel salto, per l’epoca.
Avevano preso una casa in affitto in campagna, improvvisandosi agricoltori. Mio padre andava al liceo francese; suo fratello minore, lo zio Gianni, anche.

Ambientamento?
Non facile: c’era una forma di razzismo verso gli italiani che provavano a studiare da francesi. Ma per quanto fosse tutto più difficile lo sforzo comportò la nascita di un legame che non si è mai spezzato. Mio padre doveva pedalare per molti chilometri con la sua bicicletta per andare a scuola ogni giorno ed era incantato dal paesaggio, da tutto quello che lo circondava. La natura, l’atmosfera. Non a caso poi ha voluto che i suoi figli frequentassero il liceo francese a Roma.

Dici Francia del ’900 e pensi al grande cinema.
Certo, difatti la formazione cinematografica di mio padre ne ha risentito in positivo. Andava di nascosto a vedere film che hanno formato il suo gusto.

Dagli anni del neorealismo prese slancio una produzione di livello altissimo e al tempo stesso una dinastia artistica che voi eredi avete portato avanti: logico che la sua terra sia orgogliosa di avervi dato i natali.
Sì, e ne siamo felici. I miei nonni sono sepolti a Coccaglio, dove stava mio zio Gianni e dove mio nonno volle andare alla fine dei suoi giorni. In quel piccolo cimitero dopo molti anni l’ha raggiunto mia nonna. Per quanto riguarda Salò, ci sono stata con amici: sono andata a visitare luoghi che significano tanto per la mia famiglia.

A Luigi Comencini è intitolata la piazzetta del Mulino, sulla passeggiata delle Tavine.
Quando l’ho saputo mi ha fatto piacere, naturalmente. Salò gli ha dato i natali e papà ogni volta che si parlava della sua biografia diceva: «Sono nato a Salò, ma prima della Repubblica Sociale».

Precisazione significativa.
Certo. Mio padre studiò a Parigi e poi architettura al Politecnico di Milano, ma Salò era la sua culla e lo ha premiato per la sua carriera.

Ricevendolo in pompa magna al cinema teatro Cristal.
Salò, il Garda: il lago faceva per lui, uomo del nord innamorato del sud. Per l’incontro dei miei genitori galeotta fu una commedia di Eduardo De Filippo.

Cinema, teatro, libri: lei spazia fra 3 carriere e non è da tutti. Quanto ha influito l’aria che si respirava a casa?
Tanto: la formazione familiare è importante e la mia è stata eccellente. Mio padre è stato un grande padre; mia madre, Giulia Grifeo di Partanna, era una donna pazzesca, con la vitalità tipica del sud, aperta mentalmente. Il contesto è stato un vantaggio, poi è chiaro che ci vuole coraggio anche a seguire le orme di un genitore. Io pensavo di smarcarmi, fare la scrittrice, poi ho fatto anche cinema e teatro e ne sono felice.

La mela che non cade dall’albero è una vecchia regola, ma suo figlio è l’eccezione: Carlo Calenda è uno dei leader politici italiani.
Carlo ha fondato Azione, mia figlia Giulia è sceneggiatrice, Luigi fa musica elettronica. E ho aiutato a crescere Tay, che Carlo ha avuto in giovanissima età: una nipote che considero come una figlia e che è fotografa.

Lei hai dichiarato che «Azione è il partito riformista che manca all’Italia». Al tempo stesso ha riconosciuto il lavoro svolto da Giorgia Meloni. A suo parere è arrivata a essere premier anche grazie al movimento delle donne? 
Sicuramente. Si raccolgono oggi i frutti di decenni d'impegno globale.

Ora le donne iraniane stanno cercando di fare una rivoluzione profonda, culturale, e qui tante personalità si stanno muovendo in questo senso: Marisa Laurito, che vive a Brescia, ha fatto una raccolta firme contro le violenze in Iran. E al Macof, il Centro della Fotografia Italiana, ha raccolto ciocche di capelli per mandarle al consolato iraniano a Milano.
Avanti così, avanti tutta. Dal 16 febbraio 2011, quando oltre un milione di persone scese in piazza in 230 città da Milano a Palermo per invocare un Paese che rispettasse le donne, non abbiamo mai smesso di lavorare.

Nuova frontiera, il MeToo?
Il progresso nel 2023 è anche affrontare temi da sempre sotto il tappeto. Con una certezza: è giusto perseguire chi ha sbagliato e ha fatto del male anche a distanza di anni.

«Flashback», il suo ultimo libro, racconta le vicende di quattro ragazze di epoche diverse. Ognuna di loro è travolta dalla Storia in momenti di fervore rivoluzionario. Ma il romanzo è anche una riflessione sui meccanismi della scrittura, sull'osmosi tra la letteratura e la vita di chi scrive. Il libro si apre con un'amnesia, un'esperienza che lei conosce bene: un fenomeno misterioso come la letteratura di cui si studiano i meccanismi.
Così è, realmente: ci sono due piani in «Flashback». Ho voluto raccontare il rapporto fra le figure femminili e la Storia. Donne che partecipano eppure si ritrovano al tempo stesso escluse. Raccontare di una donna incinta durante la rivoluzione russa è per me qualcosa di importante. Le mie muse sono donne normali che hanno fatto la rivoluzione. Come le iraniane che oggi protestano.

Brescia in questi giorni festeggia l'inizio di un anno da Capitale della Cultura a braccetto con Bergamo, oltre ogni rivalità di campanile. Alla fine è davvero la cultura che ci salverà?
Gli occhi del turista straniero che arriva in Italia sono la chiave di tutto. Noi italiani siamo troppo abituati alla bellezza, la sottovalutiamo: se i francesi avessero lo stesso patrimonio culturale, ci avrebbero costruito sopra l'intera economia. Noi paradossalmente in questo siamo più snob di loro. Io dico che il grande cinema dovrebbe entrare nelle scuole. E che il fatto che città come Brescia e Bergamo possano valorizzarsi a vicenda come Capitale della Cultura è assolutamente positivo: si attireranno sguardi che ignorano i nostri tesori artistici, si innescherà un circolo virtuoso che porterà nuovi sguardi di turisti incantati..

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