INTERVISTA

Einar Ortiz

di Gian Paolo Laffranchi
«Ora balliamo sul mondo al ritmo della musica latina»

Tre anni per capire cosa fare da grande. X Factor, Amici, il Festival. E poi? Dopo essere uscito ai bootcamp per prendersi subito la rivincita salendo sul podio del talent show più longevo. Dopo aver sbancato Sanremo Giovani imponendosi con Mahmood (un'era geologica prima del duo con Blanco). Dopo aver riflettuto a lungo durante le varie ondate della pandemia da Coronavirus (e i relativi lockdown) su quale strada artistica fosse meglio imboccare, per mettere a frutto il suo talento sbocciato presto sotto i riflettori, Einar Ortiz ha infine fatto la sua scelta: «Canterò quello che ho dentro, nella lingua che sento. E se sento di doverlo fare in spagnolo, canterò in spagnolo».

Bresciano di Prevalle dall'età di 9 anni, nato a Santiago di Cuba: le radici si fanno sentire?
Sicuramente. Ma è anche questione di gusto musicale. Voglio che la mia musica sia libera e sincera.

L'anima gemella delle sue canzoni sta evidentemente nella cultura cubana. Per questo la maggior parte dei brani dell'ultimo disco «Instinto» è in lingua spagnola?
Sì. E sono felice, perché in questo disco mi riconosco fino in fondo.

«Instinto» ha visto la luce due mesi fa, dopo tanta attesa e altrettanto lockdown. Com'è stato questo periodo in stand-by?
Abbastanza impegnativo, ma il discorso credo valga più o meno per tutti. Lo sappiamo. Sono anni tosti, la pandemia ci ha messo a dura prova.

Sul piano musicale dove ha trovato lo slancio, l'ispirazione, dopo mesi di clausura difficili per chiunque?
In realtà da questo punto di vista il lockdown è stato molto utile. Mi ha dato la possibilità di crescere e scoprire cose che non conoscevo di me, di come sono fatto. Ora sono molto più sicuro, consapevole di quello che voglio.

Dal punto di vista psicologico invece com'è sopravvissuto a questi anni così atipici?
Sono un musicista, mi piace muovermi continuamente, andare in giro e stare in compagnia: per uno come me le restrizioni di un coprifuoco sono particolarmente contronatura. Mi sono sforzato di vedere sempre una luce in tanto buio. Ho scritto tanto, mentre me ne stavo inevitabilmente chiuso in casa. Ho cercato bellezza ogni giorno nella musica. E, semplicemente, sono rinato.

Cos'è la musica per lei?
Il mio amore grande. Di più: la mia compagna, da sempre. Sono innamorato della musica perché vivo con lei da quando sono nato: ero bambino in un luogo in cui melodia e ritmo sono ovunque. Sono cresciuto così. Mi è venuto naturale, assecondare la passione che diventava grande insieme a me. Ballare sul mondo con la musica che amo: è questo il mio sogno.

Autodidatta con chitarra e pianoforte, nato con una voce che è un dono. Dopo la delusione ai bootcamp di X Factor cosa ha significato il percorso netto compiuto ad Amici?
È stato importante, anzi direi fondamentale. Un'esperienza unica che mi ha dato tanto, mi ha permesso di affrontare di petto le mie ansie, tutte le paure. Una vera scuola. L'inizio di tutto.

Da Amici a Sanremo, 3 anni fa: la vittoria fra i giovani con «Centomila volte», il 23° posto fra i big con «Parole nuove». Che ricordo conserva dell'Ariston?
Ricordo l'emozione. Io e Francesco Renga sullo stesso palco, a Sanremo! Per me una cosa pazzesca, enorme.

Subito alla ribalta, dopo poca gavetta: troppo poca?
Credo di sì. Ripensandoci bene adesso era troppo presto, allora, per un balzo del genere. Un passo prematuro perché dovevo ancora imparare tante cose del mio mestiere. L'avventura sanremese mi è comunque servita a imparare tante cose di me.

Cosa le ha dato il Festival di Sanremo, a parte una notorietà che peraltro aveva già ottenuto?Decisamente, mi ha fatto crescere in fretta.

Piazzamento nelle retrovie della classifica, canzone meno a fuoco di «Centomila volte»: le piacerebbe tornare su quel palco per ottenere più soddisfazioni, come ha fatto coi talent conquistando ad Amici quello che a X Factor le era stato negato?
Tornerei volentieri, sì. Sarebbe bello. Adesso sono più consapevole dei miei mezzi, più maturo e cosciente di quello che voglio.

Una chiarezza d'intenti che si rispecchia nell'album uscito a gennaio.
Per il mio nuovo disco mi sono veramente spremuto: ho dato tutto, ho messo anima e cuore, ho tirato fuori un Einar mai visto, quello che attinge dalle origini.

Anticipato sul finire del 2021 dall'uscita del singolo «Caligine», «Instinto» è un crocevia di pop, latin urban e reggaeton. Si è ispirato a qualche modello in particolare, per questa svolta sonora così marcata?
In quello che considero un periodo di studi ho scoperto Feid, un rapper colombiano di cui sono diventato fan. Siamo quasi coetanei, mi riconosco in quello che scrive. Ho preso spunto dalla sua arte, mi ha aiutato senz'altro nella mia ricerca artistica.

Un luogo comune vuole che sia sempre meglio evitare di conoscere i propri idoli, per non rimanere delusi. Vorrebbe incontrare Feid?
Sì, magari! È il primo artista di cui divento fan nella mia vita.

Reggaeton, urban: sono pochi i musicisti italiani che sfondano in questo ambito.
Vero. Io lo so che la mia scelta stilistica è anche un po' un azzardo, di questi tempi, ma non importa: ho pensato solamente alla musica, non alla strategia migliore da adottare. Ho fatto e sto facendo solo quello che mi va di fare.

Cuba è nel suo sangue. Prevalle?
Io mi sento bresciano! Ho preso l'accento, amo questa terra e ne scopro lati nuovi ogni giorno. Oltre a fare arti marziali come hobby ho la bicicletta: esco con la mia mountain bike e faccio tanto fuori strada, scampagnate magnifiche. Brescia, intesa come città e provincia insieme, è davvero bella.

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