INTERVISTA

Elena Monzo

«New York, Berlino, Shanghai Il mio mondo è segno e colore»

Da Orzinuovi a Berlino e Bratislava, New York e Miami, Shanghai, Puebla e Beirut. Dal paese in cui osservandola all'opera all'inizio scuotevano la testa (Ma cosa fai, Ma dove vai) al mondo in cui chi capisce d'arte non ha avuto poi dubbi (della serie: sei nata per fare questo). Così, a furia di osare nel nome della sua creatività innata, Elena Monzo è diventata (e continua ad essere) il talento polivalente che è: disegnatrice, pittrice, incisore, visioni vaporose per un'ispirazione brada. La cattività - di schemi, stilemi e luoghi comuni - non fa per lei, tanto è vero che visitando il suo studio - che è anche casa - si ha la sensazione di avventurarsi in un mare lisergico. Ironia nella psichedelia, genialità no-filter che si intreccia con il compagno di vita Luigi Di Luca, alias Luiss Perlanera (insieme a dicembre sono diventati genitori di Vincent, fortunato a crescere circondato da immagini che giovano alla fantasia quanto al quoziente intellettivo). «Stiamo preparando una mostra sui 5 continenti che inaugurerà il 30 luglio a Salò nelle sale di Arte41, di fronte al MuSa. L'iniziativa è della curatrice Annalisa Ghirardi, ci saranno interventi di Luigi come guest designer su un ciclo che tratta il tema della femminilità».

Ci saranno la vecchia Europa e una storia indiana che va in paradiso, l'America di Frida Kahlo e un'Africa che affronta le discriminazioni. Tutto questo dopo il successo alla galleria Febo e Dafne di Torino della sua personale «Korova Milk», ora al Booming di Bologna. Presentando il catalogo che comprende le serie prodotte dal 2010 al 2021 ha anche tracciato una sorta di bilancio del suo percorso?
Ho fatto il punto e sono soddisfatta, posso andare avanti con fiducia: sto facendo quello che volevo da piccola.

Poteva fare altro nella vita o è stata una vocazione esclusiva a indirizzarla?
Non avevo scelta: io disegno da sempre. Ho cominciato copiando Popeye per gioco e quel gioco è rimasto nella mia vita.

Cosa le piaceva di Braccio di Ferro?
Il segno del fumetto. Topolino non mi faceva impazzire, preferisco gli outsider come Poldo e Trinchetto: il grasso, l'alcolizzato... Scapestrati. Adorabili i miei mostri che ritornano sempre, nelle mie opere.

Si è diplomata all'Accademia di Belle Arti di Brera; in precedenza si sentiva capita, a casa e a scuola?
Spiazzavo. Anche al liceo artistico, quando ho scoperto da sola Egon Schiele. All'esame di maturità mi chiesero di motivare le macchie di sangue nei miei lavori: il rosso sbavato di labbra e unghie avevano il senso di una ribellione. Per le regole del disegno accademico classico, rovinavo le mie opere.

Da un punto di vista più aperto, le caratterizzava con indiscutibile originalità.
A Brera ho trovato comprensione in Natale Addamiano, docente di pittura con cui sono rimasta in contatto. Lui ha visto in me un potenziale sul piano dell'incisione. La mia pittura ha una bella gamma coloristica, ma per lui prevaleva la parte del segno e della grafica. Mi consigliò di partecipare a Italian Factory.

Risultato?
Vinsi e fui premiata da Vittorio Sgarbi. Disegno puro su carta, inchiostro e pantone, molto minimal. Su misure piccole, tutti fogli A4. Feci un centinaio di disegni. E così a Superstudio Più, a Milano, il 2005 segnò la mia svolta. La parte decorativa è importante per me, quindi bilancio gli aspetti essenziali: prevarrebbe il disegno, ma mi piace vestire le opere e allora divento stilista. Sento mio anche questo ruolo.

Il tema dei temi?
Lavoro sul concetto di doppio, amo ciò che è appena abbozzato ma già ha un significato: racconto più in un frame che in forme più ampie, esistono tanti spunti per altrettanti livelli di lettura. Spesso, soprattutto dalle mie parti, c'è chi ha visto nei miei lavori «una cosa sessuata». In realtà spesso le allusioni sono solo negli occhi di chi guarda. Il bagaglio culturale vuol dire molto, nel modo in cui si osserva un quadro o una scultura.

A 24 anni, dopo quel premio, si è detta dunque che ce la poteva fare. C'è qualcuno che le ha dato un ulteriore incoraggiamento?
Marco Cingolani, pittore di Moscova. Lui mi ha presentato come giovane di belle speranze alla galleria Bonelli di Mantova che faceva fiere all'estero. Quell'interessamento mi ha gasato.

A casa cosa le dicevano?
Mio papà è benzinaio: Fa' tu, vedi tu.

Quanto è durato il tempo della perplessità?
È finito intorno al 2016. Dodici anni fa, al ritorno dal viaggio a New York sponsorizzato con un premio vinto fra i giovani artisti bresciani, una borsa di studio da 5 mila euro, ho deciso di mettere a frutto l'esperienza maturata fra le gallerie di Chelsea aprendo uno studio mio in via Corniani.

Orzinuovi caput mundi per lei, dopotutto?
Ho fatto tanti bei viaggi, conosciuto l'arte del mondo, esposto a New York alla gallery di Sara Tecchia, che ha un irresistibile slang romano-americano. Ho visto tanto, fatto residenze d'artista, ma volevo che la mia base fosse qui, dove sono cresciuta.

La collaborazione con Luigi com'è iniziata?
Con gli ex voto realizzati nel laboratorio di Vailate, con incisioni e strutture applicate ai miei quadri. Interventi su tele: un gioco di squadra che si è compiuto già 3 volte.

Il lavoro di cui va più fiera?
Il mio preferito è Lilith, non a caso copertina del mio book. L'originale, 1 metro e mezzo per 1, è stato acquistato a Mosca da un collezionista. Era il 2019, il mio momento spirituale. Ho unito due metà: 2 corpi, 4 seni, 2 foglie d'oro fra le 3 dita, 2 corna. Ho il senso della numerologia.

Il suo 2: pittura, segno.
Due mondi opposti: il colore ti rimanda un mondo nebuloso, il segno è più bresciano, come un aratro. Mi piacciono entrambi, li amo e li rispetto. Corpo, mente, anima: ci dev'essere un'armonia nel tutto, così trovo me stessa.

Cos'è l'arte?
È un filtro fra realtà e immaginazione.

I suoi riferimenti?
Klimt, oltre a Schiele. E tanti altri.

Se avesse 15 anni oggi, dipingerebbe?
Mi dedicherei all'animazione. E mi divertirei.

Ora si sente profeta in patria?
Ho trovato incoraggiamento e approvazione da quando espongo all'estero. Ed è una zona ricca di collezionisti: non mi posso lamentare.

Quando non crea?
Amo fare yoga. Ma sono ferma da un po'.

Come si definirebbe?
Artista. Anche se quando non ho voglia di fare conversazione e mi chiedono che mestiere faccio, per non dover star lì a spiegare camuffo rispondendo insegnante di sostegno.

Un sogno?
Tanti. Il prossimo: nel 2023 vorrei fare qualcosa per Brescia capitale della cultura. .

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