l'intervista

Gérard Colombo

di Gian Paolo Laffranchi
Dall'1 marzo Colombo sarà in pensione: si dedicherà a «la musica che unisce», progetto che diventerà associazione
Dall'1 marzo Colombo sarà in pensione: si dedicherà a «la musica che unisce», progetto che diventerà associazione
Dall'1 marzo Colombo sarà in pensione: si dedicherà a «la musica che unisce», progetto che diventerà associazione
Dall'1 marzo Colombo sarà in pensione: si dedicherà a «la musica che unisce», progetto che diventerà associazione

Dall'Alsazia al palcoscenico più ambìto d'Italia, passando per Brescia: una patria adottiva, oltre trent'anni qui, una cultura differente per una seconda vita che continua. Gérard Colombo lavora per il coro della Scala di Milano, ma è anche direttore del coro di Borgo Trento, e pure fautore di un progetto approdato al Festival della Pace: «La musica che unisce».

La musica ha mille valenze a cominciare da quella sociale, ma nel suo caso è anche la linea a cui è fedele da sempre: unendone i punti si capisce qual è stato il suo percorso. Tappa fondamentale, la Scala. Quando è iniziata la collaborazione?
Eravamo nel vecchio millennio. Dal 1991 collaboro stabilmente, dal 1999 sono responsabile della dizione: insegno ai cantanti come scandire il testo quando portano sulle scene un'opera in francese. Un mestiere molto affascinante.

Musicalmente, c'è grande differenza fra l'italiano e il francese?
Il francese è molto utilizzato in ambito musicale, dopodiché dipende sempre tanto dalla bravura del compositore. In francese ci sono le vocali nasali, la pronuncia può creare difficoltà. Si tratta di cercare di adattare la tecnica vocale al cambio di lingua. Radici francesi, in una terra di lotte. Una terra molto combattuta, l’Alsazia-Lorena, tra Francia e Germania. Io vengo da un piccolissimo paese, Bure, un comune vicino a Tressange. Zona di miniere di ferro. Dai guadagni per la comunità derivava la possibilità di sostenere l'attività musicale tramite le bande, comprando gli strumenti.

Il suo primo strumento?
Per formazione sono un trombettista. Da bambino ho preso i primi rudimenti, i primi consigli sul solfeggio. Ho cominciato alle medie a 11 anni, nella città di Metz. Ho fatto il conservatorio. Mio papà lavorava in miniera ma suonava la fisarmonica, mio zio era trombettista. Non c'erano tutti gli interessi di oggi, la banda era anche un collante sociale. Adesso che le miniere non ci sono più il mio paese è diventato un dormitorio, con villette bellissime ma il lavoro è in Lussemburgo, o in Germania. Io giocavo a pallacanestro, ma non c'erano tante opportunità: la banda e il coro del paese erano i miei riferimenti.

Così a Brescia.
Sì. È come ritornare al punto di partenza, cogliendone l'essenza. Bello. Dal 2013 mi occupo della corale della parrocchiale di Cristo Re Borgo Trento. Ho avuto modo di scoprire il mondo amatoriale parrocchiale, che non conoscevo. Un mondo che l’ha spiazzata? L’ho trovato molto interessante. E da quando ci sono io ho visto arrivare tante persone che si sono appassionate, più di cento. Lungo la strada della musica sacra i gruppi corali devono aprirsi anche perché questo mondo sta invecchiando tantissimo. Ho allacciato in questo senso una collaborazione con alcuni giovani strumentisti tramite un insegnante del Gambara: una via da seguire.

Colpisce la diversità dei fronti su cui si impegna.
A Parigi insegnavo tromba al Conservatorio. Alla Scala sono arrivato come artista del coro, sempre in un contesto professionale. A Borgo Trento la mia partecipazione è maturata soprattutto a livello sociale: ho scoperto al di là del fatto musicale una realtà umana che non conoscevo. Mi sentivo inadeguato, ma tramite la musicale corale ho condiviso l'atto dello stare insieme. Qualcosa che altrimenti non avrei mai avuto.

L'approdo al Festival della Pace è stato una conseguenza?
Mi sono inserito nel contesto. Il progetto è iniziato nel 2018. Ho fatto un concerto al Teatro Sociale, avendo modo di portare la corale della parrocchiale e altri due gruppi, 70 persone in tutto, su un palcoscenico vero con un vero pubblico. Molto emozionante. Nel 2019 ho collaborato nuovamente col Festival della Pace coproducendo il concerto. Quest'anno torniamo dopo il lockdown: musica alla chiesa di San Giovanni domenica 14 novembre, e lo stesso concerto sarà a Cristo Re sabato 20 novembre. A Borgo Trento non c'è una sala concerto: a maggior ragione è importante portare avanti certi discorsi.

Riavvolgendo il nastro per ritrovare uno dei punti fondamentali della sua storia: com'è arrivato a Brescia?
È il cuore che mi ha portato qui. Ho incontrato a Milano, da studente del Conservatorio, una ragazza di Brescia. E mi ha rapito... Era il 1990.

Se ripensa alla città di allora?
È molto cambiata. Sul piano culturale i passi avanti sono evidenti, ma vorrei sottolineare la qualità delle voci che qui è davvero incredibile. Brescia poi per me è anche la città dei profumi della cucina, delle osterie della tradizione da conoscere: per me era tutto nuovo. Ho trovato qui un contesto sociale meno individualista, pieno di calore umano. Nel 2023, da capitale della cultura, Brescia potrà togliersi le soddisfazioni che merita attivando collaborazioni e progetti inediti.

Segue le partite di basket della Germani?
Da 10 anni abito al San Filippo, ma anche prima del palaLeonessa non riuscivo ad andare al palazzetto: lavorare alla Scala lascia davvero poco tempo. Che musica ama, da ascoltatore? Ho iniziato da trombettista: jazz, pop, funky anni '70. Amo le big band, assecondo le emozioni della giornata.

Cosa sogna, oggi?
Ho superato i 60 anni, sto arrivando al momento della pensione: a febbraio finirà questo percorso professionale. La banda, lo studio, l'orchestra, l'Italia. Ho lavorato anche in Mediaset, con Demo Morselli, sono stato coach della Sugar: preparavo per il mercato francese Malika Ayane, Raphael Gualazzi, Elisa. Finirò alla Scala con l'opera in lingua francese. Dall'1 marzo sarò in pensione

E si fermerà?
No, assolutamente: anzi porterò avanti «la musica che unisce», che dovrebbe diventare un'associazione nel 2022. Sogno di compiere un percorso nato all'interno di quello più ampio condotto finora: condividere un'idea musicale d'unione, nello specifico attraverso la musica corale. Lo faccio da 8 anni con lo spirito di Don Chisciotte; con i laboratori conto di avvicinare la fascia di età più giovane dal momento che per adesso si va in media dai 50 anni in su.•.

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