INTERVISTA

Giulia Gussago

di Gian Paolo Laffranchi
«Danzando oltre ogni divisione può nascere una società nuova»
Giulia Gussago:  ha fondato la compagnia Lyria nel 1995 assieme a Monica Cinini FOTO DANIELE GUSSAGO«StraOrdinarie visioni # dodici anni di carcere» al Mo.Ca: un momento della performance di due giorni fa
Giulia Gussago: ha fondato la compagnia Lyria nel 1995 assieme a Monica Cinini FOTO DANIELE GUSSAGO«StraOrdinarie visioni # dodici anni di carcere» al Mo.Ca: un momento della performance di due giorni fa
Giulia Gussago:  ha fondato la compagnia Lyria nel 1995 assieme a Monica Cinini FOTO DANIELE GUSSAGO«StraOrdinarie visioni # dodici anni di carcere» al Mo.Ca: un momento della performance di due giorni fa
Giulia Gussago: ha fondato la compagnia Lyria nel 1995 assieme a Monica Cinini FOTO DANIELE GUSSAGO«StraOrdinarie visioni # dodici anni di carcere» al Mo.Ca: un momento della performance di due giorni fa

L’arte come società, per la società. La danza, un gioco di squadra. Un gioco serissimo in cui si può vincere col sorriso sulle labbra, tanto più prezioso dopo tanta sofferenza. Un raggio di sole che scalda anche quando il cielo s’intravede solo a righe, dal freddo di una cella. Non ci sono piani distinti, nella dimensione vitale di Giulia Gussago. La sua quotidianità è figlia di una strategia nata di slancio, senza bisogno di pianificare. L’urgenza di trasformare il dolore dello stare al mondo (qualcosa di noto a tutti, ma a qualcuno di più) in un’opera corale da far crescere passo dopo passo. «StraOrdinarie visioni», iniziato venerdì e in programma fino al 28 maggio nelle sale del Mo.Ca, in città, è il racconto dei 12 anni trascorsi nel carcere di Verziano «a tessere legami tra i detenuti e la comunità civile, tra il dentro e il fuori»: impegno della Compagnia Lyria, associazione fondata nel 1995 da Giulia Gussago nei panni di direttrice artistica e dalla presidente Monica Cinini per coniugare la danza e il sociale contribuendo all’integrazione delle fragilità. Esemplare il progetto Verziano, intrapreso nel 2011 (in collaborazione con Ministero di Giustizia-Casa di Reclusione di Verziano, sostenuto dalla Fondazione Asm) per portare l’arte performativa all’interno delle mura carcerarie, coinvolgendo nei laboratori sia i detenuti, sia i liberi cittadini. La convinzione che gli istituti penitenziari possano essere «luoghi di raccordo con la collettività per una reale cultura dell’inclusione, facilitando il reinserimento delle persone a fine pena». La costruzione di relazioni dentro e fuori dal carcere, il senso profondo della manifestazione, si esprime oggi attraverso «l’incontro di 2 frecce in volo»: alle 17 e alle 20.45 sul palco di Idra Teatro (in replica sabato). Giulia danzerà con la musica di Fulvio Sigurtà (tromba e live electronic) e le luci di Stefano Mazzanti (light design). Spettacoli, mostre, convegni, testimonianze per la rassegna intitolata non a caso «StraOrdinarie visioni» e dedicata alla memoria di Daniele Gussago, fotografo della Compagnia venuto a mancare prematuramente nel settembre scorso. «L’associazione - dice Giulia - ha voluto intitolargli una mostra con alcuni dei suoi scatti, tantissimi, realizzati negli anni. Cinque di queste immagini sono il motivo ispiratore per lo spettacolo che mettiamo in scena stasera».

Fra due anni la Compagnia Lyria festeggerà il trentennale di un impegno che sposa l’arte al respiro sociale. Un percorso coerente da tempi non sospetti.
Abbiamo avuto spirito pionieristico, nel genere di proposta che facciamo, io e Monica Cinini, presidente da allora, animata da un credo profondo pur non essendo una danzatrice. Tutto è partito dalla mia passione per l’arte contemporanea. Dopo anni di formazione all’estero, al rientro in Italia è nata l’idea di costituire un’associazione. All’inizio facevamo attività formativa passando per tutte le fasce di età, dalla didattica all’avviamento professionale. Ne sono usciti danzatori come Davide Camplani, poi approdato alla Sasha Waltz & Guest di Berlino e protagonista di tournée internazionali. Abbiamo realizzato spettacoli, messi in scena ovunque. Dall’atrio della stazione ai parchi passando per le piazze. E naturalmente in teatro.

Parola d’ordine?
Lavorare con le persone, sulle persone. Focalizzarsi sulle persone: la cosa davvero più importante di tutte, orientamento via via sempre più chiaro comprendendo il valore della relazione, un’opportunità per tutti che implica il contatto con diversi linguaggi espressivi.

L’interdisciplinarietà che plasma anche «StraOrdinarie visioni».
Esattamente. Abbiamo collaborato con musicisti come Sandro Gibellini e Mauro Negri, compositori quali Mauro Montabetti e Rossano Pinelli, installatori come Domenico Franchi. La circolarità, con tutti i rimandi che comporta tra le varie forme di espressioni che utilizziamo, è la cifra della nostra rassegna come della nostra attività.

Senza porvi limiti: con «DanzAbile», progetto rivolto a giovani e adulti con disabilità fisiche, mentali e sensoriali, avete fatto danzare anche chi è senza gambe o in carrozzina. 
Difficile e delicato, anche solo proporlo. È sempre una questione di equilibrio. Ma quando arrivi in luoghi liminali e riesci a incanalare energie e aspettative, sviluppandole al massimo, diventa grandiosa la fiducia che si crea, la crescita della capacità di entrare in relazione. Io mi esprimo e comunico anche e soprattutto danzando. La danza è la mia vita. Volevo capire come si convive con una disabilità, e come si può sopravvivere in pochi metri quadrati: l’ho fatto attraverso la danza.

Di questo parla, con delicatezza, il film «Grazie ragazzi», commedia agrodolce di Riccardo Milani con Antonio Albanese su una compagnia teatrale in carcere. Come definirebbe un’esperienza del genere?
Sono esperienze potenti. Un giorno, alla fine di una performance al Museo Diocesano, tenevo per mano un detenuto che mi guardò e disse «Giulia, stanno applaudendo... Stanno applaudendo anche me». Allora anch’io posso fare qualcosa di buono nella vita». Ho ancora i brividi. Io sono il mio reato: con questo senso di identificazione dolorosa deve convivere chi sta in prigione. Una donna aveva una pena breve, dopo lo spettacolo sarebbe uscita dal carcere. Mi chiese «Giulia, ma io posso continuare a fare teatro con la Compagnia da persona libera?». Certo che sì! Questa esperienza, che all’inizio come nel film di Milani è passare qualche ora diversa dalle altre in carcere, può significare una revisione di sé, un modo di ritagliarsi una dimensione nuova nel mondo. Oltre ogni divisione, attraverso la danza, può nascere una società nuova.

In questo mondo che scopre l’intelligenza artificiale e progredisce nella direzione della tecnologia e della virtualità, può l’arte nei suoi vari linguaggi diventare la religione laica di chi non si arrende alla perdita dell’identità, la fede di chi crede incrollabilmente nell’unicità degli esseri umani?
Sì. Noi non siamo replicabili, con i nostri errori. Benedetti siano anche quelli.

Sono parte di noi.
Certo, tutti sbagliamo, tutti cerchiamo di migliorare.

Brescia è migliorata nel tempo, dimostrandosi degnissima Capitale della Cultura.
Assolutamente. E me ne rendo ancora di più conto quando parlo con colleghi di altre città. Il bresciano è un lavoratore indefesso, ma la sua innata tenacia caratterizza anche agli artisti che hanno scelto di essere operosi attraverso il talento della creatività.

Quando ha capito di dover seguire la sua strada danzando?
All’inizio, da bambina, facevo ginnastica artistica. La mia vicina di casa faceva danza classica e aveva il tutù. Lo volevo anch’io. E in un corso di ginnastica jazz, poi, ho scoperto che si potevano anche piegare i gomiti... Mi si è aperto un mondo. Negli anni sono passata dalla danza alle arti contemporanee, di folgorazione in folgorazione, dedicandomi alla ricerca in diversi ambiti incontrando maestri che sono stati molto generosi con me. Sono stata vent’anni in un monastero Zen, ho approfondito la pratica meditativa. Da qualche anno sono insegnante di metodo Fendelkrais, proposto con successo quest’anno in un primo progetto al carcere Nerio Fischione su input della direttrice degli istituti penitenziari Francesca Paola Lucrezi.

Se un bambino le chiedesse cos’è la danza?
Lo prenderei per mano, gli direi «Alziamoci piedi», cammineremmo insieme e a quel punto gli direi: «Vedi? stiamo già danzando».•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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