l'incontro

Il processo serenissimo

Andrea Molesini ha scritto per Sellerio Il rogo della Repubblica
Andrea Molesini ha scritto per Sellerio Il rogo della Repubblica
Andrea Molesini ha scritto per Sellerio Il rogo della Repubblica
Andrea Molesini ha scritto per Sellerio Il rogo della Repubblica

Un romanzo storico che ci riporta indietro di secoli, nella Venezia di fine Quattrocento, e allo stesso tempo l'avventura catartica che vede il cammino di un uomo violento verso la redenzione. E ricostruisce, carte alla mano, la vicenda di un gruppo di ebrei ingiustamente accusati di omicidio ai tempi della Serenissima. Risvolti molto particolari quelli tra la Repubblica veneziana e il popolo ebraico che fanno riflettere.Il rogo della Repubblica (Sellerio 2021) è il nuovo romanzo dello scrittore e traduttore Andrea Molesini, premio Campiello nel 2011 con Non tutti i bastardi sono di Vienna. Ecco come lo ha raccontato in occasione di Librar Villafranca, nell'incontro coi suoi lettori.

Andrea Molesini, questa volta le sue pagine riportano a una Venezia appena uscita dalla guerra contro i turchi e dalla peste. Si inserisce qui l'amara vicenda del processo.
Siamo a Portobuffolè, un piccolo paese del trevigiano, nel 1480. Un bambino sparisce nel nulla, e l'archisinagogo Servadio e altri due ebrei vengono accusati di averlo ucciso per impastare col suo sangue le focaccine pasquali. Torturati e condannati a morte per infanticidio rituale, fanno ricorso e il processo si riapre davanti al Senato di Venezia.

Al centro della vicenda, quindi, c'è un processo ingiusto.
Nel libro tre innocenti vengono bruciati vivi, accusati di omicidio, e anche se tutti nel Senato della Repubblica capiscono che sono innocenti la ragion di stato richiede una condanna. Il podestà del paese aveva fatto arrestare questi tre per evitare una sommossa, dal momento che il popolo era sobillato e aizzato da un predicatore francescano, Bernardino da Feltre, che odiava gli ebrei. Il suo ordine religioso voleva sostituire i loro banchi dei pegni con quelli del Monte di Pietà. Si parla, dunque, dello scontro tra politica e giustizia.

All'inizio del suo libro lei riporta una frase di Solone: Il male pubblico giunge alla casa di ognuno.
Quella frase fu pronunciata dal grande legislatore ateniese 25 secoli fa. E ci fa comprendere l'attualità della storia. Chiunque di noi potrebbe averla detta: che si tratti di un'epidemia, di un atto terroristico, di una guerra, del cattivo governo, il male pubblico bussa sempre alla soglia di ogni cittadino. La storia insegna, o almeno dovrebbe insegnare, e quando si scrive una vicenda si coglie quello che c'è di sempiterno in un determinato momento. Il poeta spagnolo Antonio Machado scrive: "Tutto passa e tutto resta, però il nostro è passare. Passare facendo sentieri, sentieri sul mare". Insomma, ogni momento è unico e irripetibile, come l'istante delle nostre piccole meravigliose vite. Eppure tutto lascia un segno.

La voce narrante è quella di Boris da Candia, un Corto Maltese arguto e a tratti brutale.
Boris, personaggio d'invenzione, frequenta palazzi e bordelli e si definisce scaltro, ricco, temuto. È una sorta di agente, un uomo che agisce nell'ombra, e nel corso delle sue indagini si imbatte in una maga, una donna dalle grazie misteriose che gli rivelerà particolari ignoti della vicenda. Ma l'incontro decisivo è quello con Servadio, l'archisinagogo: la sua spiritualità e il suo carisma lo spingeranno a un'evoluzione spirituale che sfocia in un'insaziabile fame di giustizia. La trasformazione di Boris è il punto di contatto tra due mondi, tra la saggezza e la follia generata dalla stupidità umana.

Il libro è diviso in atti, e non capitoli. Perché?
Il rogo della Repubblica si colloca a metà strada tra la tragedia e la commedia. C'è la tragicità dei fatti narrati, ci sono morti violente e ingiustizie, ma ci sono anche momenti di ilarità, con la presenza di personaggi dalla personalità forte e sfaccettata. In particolare, le donne del romanzo hanno un ruolo determinante in questo. Penso per esempio a Sora Bigotta.

Perché ha scelto di ambientare la vicenda nel 1480?
Quella che ho scelto è un'epoca che somiglia molto alla nostra. A partire dall'epidemia della peste nel 1479, una lugubre corrispondenza con la pandemia dei nostri giorni. La Venezia di allora è anche quella della stampa che sta esplodendo, e che sostituisce il lavoro degli amanuensi. Proprio come oggi lo schermo sostituisce la carta, e internet sostituisce il nostro rapporto con la penna. Ma la somiglianza più grande è la lotta tra la giustizia e il potere. Che, come scriveva Blaise Pascal, "non riesce a fare forte il giusto, e chiama giusto il forte"..

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