L'INTERVISTA

«In radio e in disco, dal Garda a Ibiza: faccio ballare il mondo»

di Gian Paolo Laffranchi
Claudio Tozzo: 57 anni, nato a Sirmione, si è trasferito da piccolo a Lonato. La sua creatura è Radio Studio Più
Claudio Tozzo: 57 anni, nato a Sirmione, si è trasferito da piccolo a Lonato. La sua creatura è Radio Studio Più
Claudio Tozzo: 57 anni, nato a Sirmione, si è trasferito da piccolo a Lonato. La sua creatura è Radio Studio Più
Claudio Tozzo: 57 anni, nato a Sirmione, si è trasferito da piccolo a Lonato. La sua creatura è Radio Studio Più

Re in radio. Re della pista. Re come remix. Re Claudio Tozzo: figlio di quel Garda che è stato impero indiscusso delle discoteche, la terra santa dei templi del divertimento che ne hanno determinato le fortune. Oggi i locali sono tutti chiusi ma il divo Claudio continua a regnare sulle frequenze di un'emittente che non rimane mai indietro. E, dopo aver conquistato le platee di Ibiza, nell'attesa che finisca il lockdown lancia in orbita giovani promesse dell'electropop (Mehena) mentre riveste con le sue sonorità i successi dell'ultimo Festival di Sanremo (da Ermal Meta a Irama).Nato a Sirmione il 15 maggio 1963 ma lonatese dall'età di un anno e mezzo, figlio unico di padre comandante dei vigili e madre casalinga, Tozzo è un deejay da quando frequentava la terza media. Precocità inusuale anche in epoca pionieristica.

Come ha cominciato?

Per sbaglio. Ero andato a dire a chi stava attivando la frequenza che così facendo disturbava Radio Punto Nord, di cui ero ascoltatore. Mi sono trovato invece a collaborare con Radio Tele Sullivan: il titolare era cieco e ho iniziato ad accompagnarlo, a incuriosirmi, a farmi dire i titoli dei dischi. Ho imparato tutto sul campo. Prima da tecnico, poi alla conduzione di un programma sui cantautori italiani che vivevano un momento di boom. Era il 1977.

Era appassionato già prima di trasmettere?

Ascoltavo essenzialmente la mia radiosveglia al mattino. Ce l'ho ancora, sulla mia scrivania. L'avevo comprata a Napoli ai Quartieri Spagnoli. La musica comunque mi piaceva: da piccolo avevo un registratore, cantavo canzoni italiane, facevo partire rec e registravo la mia voce. La pioggiaaaa...

Dalla radio alla pista il passo è stato breve.

Sì, perché nel 1979 mi trovavo nella discoteca di proprietà di alcuni soci della radio, il Sullivan di Ponte San Marco, e il dj resident era in ritardo. «Sali tu», mi dissero. Non ero mai stato in consolle. «Se c'è bisogno lo faccio», dissi.

La scintilla scoccò subito?

Mi venne naturale mixare: si faceva con le mani e bisognava manovrare costantemente i piatti, non c'era ancora modo di calcolare la velocità precisa come sarebbe avvenuto poi con le macchine più evolute. Era bello cavare tutto quello che si poteva dai primi giradischi. Ho ancora qualche registrazione di allora.

Al posto giusto al momento giusto.

Pensare che ero così timido che quando uscivo in pista prendevo i bicchieri e li portavo a lavare per non farmi notare. Ma in consolle diventavo un altro. All'inizio parlavo fra un disco e l'altro, come tutti, ma un giorno mi son detto: perché non mixare e basta? Come si faceva al Cosmic, come insegna Daniele Baldelli che ho ancora il piacere di avere nel mio staff a Studio Più. Con lui dal 1999 al 2019 abbiamo organizzato «Remember Baia degli Angeli». E riprenderemo, quando la pandemia lo consentirà.

Torniamo al Sullivan.

Dopo una settimana mi sono ripresentato e ho domandato se il dj era arrivato. «Vai avanti tu», mi dissero. Avevo solo 16 anni. Stavo in mezzo ai dischi da mattina a sera e mi sono abituato a miscelare i generi. Rock, funk, electro, discomusic. Sono rimasto resident fino all'83 e quell'anno sono stato chiamato come guest al Melamare di Castiglione delle Stiviere.

Nel frattempo Radio Tele Sullivan diventava Radio Studio Più.

Fondendosi con Radio Studio 93, sì. Nell'83 ho rilevato le frequenze per costruire la rete di trasmissione arrivata fino ai giorni nostri con varie emittenti sparse per l'Italia. Dal 2000, dopo aver acquisito Radio Monte Maddalena, Studio Più ha la sua sorella Radio '60 '70 '80, e adesso abbiamo allargato la copertura anche a Ibiza. Siamo un network in Fm, una superstation globale che punta tanto anche sulle piattaforme digitali e sulla multimedialità.

Come le è venuta l'idea della videodiscoteca?

Ho pensato di fare un tour nelle discoteche dal Piemonte alla riviera adriatica con due schermi giganti e proiettori Barco per cominciare a mixare a tempo anche i video delle canzoni. Uno spettacolo innovativo che diventò resident alla Bussoladomani di Viareggio nel 1984.

Le riprese video ai tour di Edoardo Bennato e Zucchero, Eros Ramazzotti e Vasco Rossi sono arrivate di conseguenza?

Sì. Insieme a Nico Metta volevo consentire al pubblico di vedere meglio i cantanti grazie agli schermi ai lati del palco. Ho investito quello che avevo e ha funzionato alla grande. Ricordo che Eros giocava a farmi indietreggiare mentre filmavo fino alla cassa spia per poi riprendermi col braccio quando rischiavo di cadere. Ci divertivamo un sacco.

E venne il Genux: la discoteca più grande del mondo. Dal 1989 al 1997 è stato resident, performer e dj, con serate da 30mila presenze. Il segreto?

Sentire l'umore della pista, il mood della gente. Questo deve fare il dj: capire come poter rendere le persone felici, facendole ballare.

Da Des Alpes di Madonna di Campiglio all'Altromondo di Rimini, dall'Energy di Cesenatico al Privilege di Ibiza dove nel 2019 è diventato resident all'Ushuaia («Mucho») e all'Hi («Richbitch»). La serata memorabile?

Ne dico tre. Sul palco con Eros: riprendendo il suo concerto ho imparato a non tremare davanti a 15mila persone. Al Genux, una notte di Halloween: il pubblico cantava così forte che l'impianto non riusciva a sovrastare le voci, era così numeroso che la polizia mi disse di invitare via radio la gente a non cercare di raggiungere la discoteca perché c'erano code chilometriche a Rezzato, Goito, Peschiera; si fermassero dov'erano a ballare fuori dalla macchina, ascoltando la diretta. La gente ascoltò e diede retta. Danzavano alle rotonde, non si era mai visto, mentre il locale pareva esplodere. A un certo punto mi sedetti sotto la consolle, domandandomi cosa stesse succedendo. Incredibile. Il terzo momento magico è stato a Ibiza. Prima volta in sala grande; notai che c'erano tanti inglesi. Chiusi il set con un remix preparato assieme a Graziano Fanelli di «Zombie» dei Cranberries: ultima canzone, le luci iniziarono a girare... Tripudio.

Come nasce un suo remix?

Chiamo Graziano, «voglio questo suono», lui mi manda indietro quello che ha realizzato e io mi occupo del missaggio finale. Fanelli ha grande esperienza e grandi successi nella sua carriera, suona la batteria e si occupa della parte ritmica; io suono le tastiere e curo la parte melodica. Siamo un'accoppiata perfetta: i T4Fun. Ho fatto il primo disco nell'87 e andò benissimo. Adesso con Graziano remixo Mehena, giovane talento che per il suo gusto contemporaneo meritava un vestito stile The Weeknd, come Ermal Meta: il brano sanremese acquista suoni spaziali, lontano dallo schema cassa-drop perché deve passare anche in radio. Oggi tanti ascoltatori usano smartphone e computer: credo nella radiovisione, è un fronte che mi stimola e non a caso amo sempre mixare musica e video.

Cosa ascolta quando guida?

Sonorità da viaggio. Da Armin Van Buuren a Giorgio Moroder: il basso di «I feel love» con le sue note incessanti è il contrario di ciò che va di moda adesso.

In che direzione si va?

Ogni 6 mesi si cambia. Ora torna la trance, comanda la melodia. I dj non pubblicano i pezzi forti: se li tengono per quando si tornerà a ballare...

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