INTERVISTA

Italo Bonera

«Dalla fantascienza al noir il mio orizzonte è scrivere»

Ha cominciato a scrivere, scrivere sul serio, vent’anni fa. Senza chiedersi se fosse tardi, a quarant’anni compiuti. Tu chiamala, se vuoi, urgenza. Vent’anni senza fermarsi mai: «Sono al mio quarto romanzo, devo terminare la stesura del quinto. Ho concluso racconti innumerevoli, sto lavorando ai prossimi due. Due o tre. Dopodiché avrei in animo di fare un altro paio di romanzi». Ci arriverà, Italo Bonera. Gli basta andare dove lo porta il cuore, come dimostra «Il male che fa bene»: edito da Calibano, fresco d’uscita, storia di una vita che non concede tregua ed è un forte sentire in ogni suo attimo.

Frank, il protagonista, è combattuto fra talento e insicurezza; segue la «via della minore resistenza», si ritrova ad essere Guerriero per caso e non riesce a capire l’Italia in cui fa ritorno dopo tanto tempo. È il racconto di una fuga?
Il titolo originale era quello. Ho voluto focalizzarmi su un tipo di narrativa in cui il viaggio dell’eroe è sempre alla base, che si tratti di spy story, noir, fantascienza, giallo. Può essere interiore, spirituale, metafisico, fisico.

In questo caso però al centro di tutto c’è un antieroe.
Anche meno di un antieroe. Nella sua odissea non ha certo le capacità di Ulisse, è come se gli mancasse l’organo della socialità. Per disegnarlo ho fatto un’operazione di immaginazione.

Seguendo quale metodo?
Guardi te stesso e amplifichi i tuoi difetti. In nuce c’è un po’ di tutto, in ognuno di noi. Se spingi determinate caratteristiche all’estremo, ne esce un personaggio interessante.

La chiave è scrivere in prima persona?
L’ho fatto anche con il mio primo romanzo «Io non sono come voi», dieci anni fa. Qui dopo l’inizio la parte centrale è al presente indicativo in prima persona. Il lettore così si immedesima: vede, sente, interpreta con i suoi occhi il suo pensare, il suo agire. Siccome il protagonista non è certo infallibile il quadro si chiarisce man mano, si svelano cose importanti verso la fine.

C’è anche una narrazione secondaria.
Sì, un’intelligence privata che osserva i movimenti di Frank. Me l’ero inventata, invece esistono.

E sono raccontate da serie tv come «Person of interest».
Qui i report aiutano chi legge a capire che c’è qualcos’altro da scoprire, in questa storia. Il cambio di passo è evidenziato dal linguaggio, mutuato da quello delle aziende contemporanee. Ci sono termini anglofoni.

Così si diventa performanti.
La sottotraccia dell’ironia non manca. Ci sono intere parti prive di virgole.

Il suo racconto «L’uomo sontuoso» ha vinto il premio Stefano Di Marino 2022 per Mondadori ed è stato pubblicato nel fascicolo Segretissimo Special di agosto. È stato anche finalista a Suzzara, puntando sempre sul noir. È la sua tazza di tè?
La differenza rispetto al giallo sta in cosa è disturbante e cosa no. In Italia a fare noir è Massimo Carlotto, il resto è giallo.

Nato a Brescia, poi a Gussago. Perito metallurgico.
Ma non ho mai lavorato nella metallurgia. Sono stato assunto nell’allora Asm, che oggi è diventata A2A. Ho una formazione tecnica, ma a 12 anni ho iniziato a leggere fantascienza.

Cosa?
Urania, collana editoriale italiana che esiste da settant’anni ormai e che allora era considerata di serie B. Ora Einaudi pubblica «La strada» di Cormac McCarthy, che non è fantascienza: è mainstream. Poi ho scoperto il noir. I francesi, Léo Malet o André Héléna. Quindi è successo che un amico, Paolo Frusca, con cui mi ero scambiato parecchie mail dopo che lui si era trasferito a Vienna, mi ha tirato dentro un progetto di carattere storico alternativo. Io gli dicevo «Sono un fotografo, non uno scrittore».

E invece.
E invece è sorta la domanda «Come sarebbe Vienna nel 2003 se l’Europa fosse dominata dagli Asburgo? Ci siamo trovati con un romanzo assemblato, «Ph0xGen! Mille soli per l’impero», e l’abbiamo spedito al Premio Urania per la categoria ucronia, un sottogenere fantascientifico. Era il 2006. Mi telefonò Sergio Altieri, responsabile di Urania. «Ci sono notizie buone e cattive: non avete vinto, vi pubblichiamo ugualmente». Da ragazzino era il mio sogno. Ho fatto un salto sul letto. Il nostro romanzo è stato pubblicato nel 2010 da Mondadori nella collana Millemondi. Da lì è cominciato tutto, sia per me sia per Paolo. Lui è appassionato di storia e di calcio, ha pubblicato con Federico Buffa, poi la biografia di Scariolo. Io ho continuato a scrivere narrazioni noir, racconti di tema fantastico.  

Il suo thriller «Io non sono come voi», ambientato nel prossimo futuro, è pure stato finalista al premio Urania dieci anni fa; nel 2017 è uscito «Rosso noir. Un pulp italiano», ambientato negli anni Settanta, e adesso ecco «Il male che fa bene». Romanzi ma anche racconti, come diceva: nel 2014 ancora con Paolo Frusca l'antologia distopica «Cielo e ferro», poi fra gli altri «Ci sedemmo dalla parte del torto» per Prospero l'anno scorso, con una novella fantastica che parla degli ultimi, «La grande saponetta nera». Il suo genere è più la breve o la lunga distanza?
Il racconto, io prediligo il racconto. Mi piace narrare di una situazione anche in un arco breve di tempo. Qualcosa che mi coinvolge. Purtroppo ho pochi sbocchi.

E in Italia abbiamo avuto Manzoni, ma anche Pirandello.
Esattamente. Ora c'è Ammanniti, per dire. Ma in generale il momento non è favorevole.

La sua vita è narrativa, ma anche fotografia.
In un libro su applicazioni telefoniche un ragazzo fotografava un fiore: che bello dev'essere esprimersi così, mi son detto. A 14 anni mi hanno regalato una Reflex. Adesso, la copertina di questo romanzo l'ho fatta io elaborando uno scatto. Sembra un fumetto, si tratta di fotografia.

Cos'è la fotografia?
Anch'essa un racconto. In un'immagine di Ernst Haas, una sfilata, un soldato guarda avanti e mostra uno sguardo felice mentre una signora anziana cerca di mostrargli una foto come a chiedergli «C'è ancora mio figlio, l'ha visto?»: una storia fatta e finita. Come quella che si può leggere negli occhi della giovane giocatrice di scacchi persiana. Fantastica.

Cosa legge in questo periodo?
Anche robaccia gustosa: Lee Child, Andy McNab. Carlotto fra gli italiani, ma anche Enrico Pandiani, Maurizio De Giovanni. Mi piaceva Valerio Evangelisti: mi spiace sia poco ricordato. Citerei anche Stefano De Marino, a cui è intitolato il premio che ho vinto l'anno scorso: uno scrittore di spy story e noir estremamente prolifico, che scriveva la serie Il Professionista come Stephen Gunn. Ed esiste una grande schiera di professionisti della scrittura, al giorno d'oggi.

I riferimenti assoluti del passato, invece?
Scerbanenco, Simenon, Gerard de Villiers che ha scritto 200 romanzi. E lo capisco.

Perché scrive?
È il mio orizzonte. Sa perché scrivo? Perché mi viene meglio che parlare. L'ho scoperto scrivendo..

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