L'INTERVISTA DELLA DOMENICA

Jennifer Guerra: "Dalle Riot Grrrl a Saviano scrivendo di femminismo"

di Gian Paolo Laffranchi
Bresciana di Villa Carcina, classe 1995, Jennifer Guerra sarà alle 19 al circolo Arci La Base di Palazzolo per la prima edizione del festival letterario e giovanile «Meandri», sulla discriminazione di genere. Scrittrice e giornalista, già redattrice a The Vision, ha collaborato con L’Espresso, Sette, La Stampa e pubblicato prima di «Un’altra donna» di fresca uscita (Utet), "Il corpo elettrico"
Giornalista e scrittrice, Jennifer Guerra ha appena pubblicato il suo ultimo libro «Un’altra donna» per Utet
Giornalista e scrittrice, Jennifer Guerra ha appena pubblicato il suo ultimo libro «Un’altra donna» per Utet
Giornalista e scrittrice, Jennifer Guerra ha appena pubblicato il suo ultimo libro «Un’altra donna» per Utet
Giornalista e scrittrice, Jennifer Guerra ha appena pubblicato il suo ultimo libro «Un’altra donna» per Utet

Nei «Meandri» di Palazzolo si aggira la modernità. Non gioca a farsi notare; il suo lavoro, a dichiararlo, suonerebbe un po’ ambizioso (cambiare il mondo). Ma alla fine c’è modo e modo e Jennifer Guerra sceglie l’essenzialità: senza tanti proclami, la giornalista-e-scrittrice arriverà stasera alle 19 alla Base per prendere la parola nella rassegna meandresca e trattare di corpo e di potere. Di quale potere possa avere un corpo, di quanto un corpo possa subire un potere; di stati di cose - cristallizzati o in divenire - che intrecciandosi possono incontrare le tematiche di genere (femministe e Lgbtqi+) di cui va occupandosi da tempo (praticamente da sempre). «Stefano Malosso, direttore editoriale di Limina, mi ha proposto di partecipare», spiega la fresca autrice di «Un’altra donna»: «Temi affini, ne parleremo, ma lo spunto per la conversazione è nato prima di questo libro. Partiremo dall’attualità».

Un’anticipazione?
In particolare, dirò che con il ribaltamento della sentenza Roe contro Wade negli Stati Uniti si cancellano 50 anni di diritto all’aborto. Parleremo di maternità surrogata, dei conseguenti dibattiti ed esploreremo il rapporto fra il potere e il corpo della donna. Ricordando che i diritti della persona cambiano a seconda del sesso.

E chi si oppone a questo stato di cose ha storicamente la strada in salita: più che una questione di genere, è una battaglia per i diritti civili?
Assolutamente. La strada per la parità, per una vera uguaglianza, è ancora lunga. Se penso ai principali attori che oggi spingono perché non si possa più abortire, o contro i matrimoni dello stesso sesso, vedo un progetto politico più ampio, che riguarda la supremazia bianca, interessa chi è miliardario, richiama le lobby ai vertici di istituzioni come la corte suprema.

Il corpo può essere una suprema forma di resistenza?
Sì: può diventare terreno politico di lotta. Nella scia tracciata dal coraggio delle suffragiste: il diritto di voto era una battaglia politica, una missione ai limiti dell’impossibile visto che fino all’800 per le donne era impossibile anche solo scendere in piazza e rivendicare i diritti. Il corpo è il prisma attraverso cui si consumano i cambiamenti.

Per cambiare le cose serve una nuova mentalità: crede che in Italia sia in atto una rivoluzione di idee e comportamenti?
Qui, purtroppo, ci scontriamo con dati che ci vedono ai piedi della classifica europea nella mappa dei diritti Lgbtqi+: ci supera anche l’Ungheria, che ha realizzato una legge contro l’omofobia. Lì è stata approvata, qui no. Poi è chiaro che la vita vera, la realtà, non è sui manuali e nelle aule di tribunale, quindi la situazione è ancora meno incoraggiante di quel che sembrerebbe: ci sono diritti assodati che cominciano a scricchiolare, leggi che invecchiano male come la 194 sull’aborto: fantascientifico pensare di aggiornarla se al governo arrivano antiabortisti. Darsi da fare per correre ai ripari mi pare inevitabile.

Da dove ha preso la rincorsa?
Sono bresciana, di Villa Carcina. Papà operaio, mamma casalinga: un background di cui vado fiera, anche perché in ambito culturale non è frequente. Ho una sorella, fa la ricercatrice all’Università di Brescia.

Da Brescia si è trasferita a Treviso.
Sì, per amore: mi sono sposata con un romano che vive a Treviso. Prima stavo a Milano, mi sono spostata durante la pandemia perché con il lockdown vivere distanti non aveva senso. Mi sono trovata e mi sto trovando bene.

Com’è approdata alle tematiche femministe?
In verità è stato tutto abbastanza casuale. Mi sono avvicinata a questi argomenti alla fine delle superiori, grazie ad Internet. Ero appassionata di musica rock e punk.

Versante Riot Grrrl?
Esattamente. Grazie a un blog, Soft Revolution, mi sono ispirata all’estetica Riot. In italiano, femminismo per ragazze. Ora è comune trovare in rete contenuti del genere, ma soltanto una decina di anni fa c’era poco o nulla. Ho aperto gli occhi così.

Passo successivo, la scrittura?
Mi è sempre piaciuto scrivere. Dopo un po’ che leggevo e frequentavo tematiche femministe, mettere i miei pensieri nero su bianco mi è venuto spontaneo. Da un punto di vista triumplino. Dalle mie parti per i giovani gli stimoli erano quelli che erano, il web e la musica hanno contribuito in maniera determinante alla formazione della mia personalità. Il fascino che il femminismo ha esercitato su di me era anche un modo di uscire dai confini, una maniera di cambiare la mia realtà, ampliare i miei orizzonti. Da adolescenti ci si vuole muovere.

Com’è cominciato il suo percorso?
All’inizio è stato un viaggio in solitaria. Intorno a me non c’era un ambiente recettivo: le mie scoperte sono state il frutto di uno studio individuale. Poi giorno dopo giorno tutto si è trasformato, mi sono iscritta all’università e il mio ambiente è mutato.

Come hanno reagito a casa sua, vedendola cambiare?
Nella mia famiglia, fra i miei affetti, non c’è mai stata ostilità verso i miei interessi, della mia passione. Anzi c’è stato grande sostegno, in un processo di crescita che di riflesso vedo nei discorsi dei miei genitori e dei miei amici.

È anche lavoro, considerando i libri pubblicati e le collaborazioni allacciate dopo la laurea in Lettere e Moda?
Cerco di tenere la militanza staccata dall’aspetto lavorativo: non faccio attivismo quando svolgo il mio mestiere, anche per ragioni di sanità mentale. Per una giornalista, per una scrittrice è problematico portare avanti un attivismo come il mio. Di certo non lo si fa per un tornaconto, ma perché ci si crede.

È fare politica, in senso lato.
Anche nei confronti con la redazione, anche quando dovevo rendere conto, è stato sempre qualcosa di costruttivo.

Ha scritto un libro per la collana Munizioni di Roberto Saviano: com’è stato il vostro incontro?
Quando la proposta di scrivere si è concretizzata, il nostro dialogo è stato stimolante intellettualmente, e posso dire alla pari. Quando ti confronti con un grande intellettuale, potresti sentirti in difetto; in questo caso però non è successo perché Roberto mi ha trattato senza porsi in una posizione di superiorità, dimostrandomi stima. È stato bello lavorare con lui.

Giornalista, scrittrice: è quello che voleva?
Non pensavo di fare questo. All’università credevo che avrei lavorato nella moda. Non era pianificato, adesso però sono contenta.

L’obiettivo?
Approfondire meglio la scrittura dei libri, dedicarmi di più a quello.

Tempo libero zero?
Sono una grande lettrice, ma quando leggi per lavoro è più difficile godersela. Mi piace cucire, fare oggetti, senza grandi pretese.

Band preferita?
I Fleetwood Mac. Ringrazio mio papà, che me li ha fatti scoprire. Sono abitudinaria, tendo alla comfort zone.

Cinema?
Amo particolarmente la regìa di Greta Gerwig. Aspetto con ansia la sua Barbie, sono molto curiosa.

Sport?
Nulla. Scrivo.

Siamo ciò che scriviamo?
Non ho dubbi: sì.

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