INTERVISTA

Simonetti, mito a Onda d’Urto: «La mia musica, brividi d’Argento»

di Gian Paolo Laffranchi
«Alla Festa della Radio porto la mia musica senza confini»

Nemmeno la furia degli elementi può scoraggiarlo. «L’anno scorso ci ha fermato un tifone: nessun problema, rieccoci». Claudio Simonetti sarà a Brescia lunedì 22 agosto, sul palco della Festa di Radio Onda d’Urto, con i suoi Goblin: Daniele Amador (chitarra), Cecilia Nappo (basso) e Federico Maragoni (batteria). In apertura The Mugshots, con Dark Ages come special guest.
Dodici mesi dopo l’annullamento per maltempo, il concerto si terrà per l’edizione del trentennale. E sarà «un bel viaggio, con la gioia di tornare in una città in cui ho suonato diverse volte e mi sono sempre trovato benissimo». L’occasione di ripercorrere in una sola sera decenni di brividi, con una cinematografia da paura: Profondo Rosso, Suspiria, Phenomena e Tenebre sono solo alcuni dei titoli di una carriera lunga mezzo secolo che ha spaziato fra i generi non solo sul grande schermo.
«Non mi sono mai posto limiti», spiega il re delle colonne sonore horror, che ha lavorato con Dario Argento, George A. Romero, Lamberto Bava, Lucio Fulci e Ruggero Deodato, ma anche con Sergio Martino, Castellano & Pipolo e Salvatore Samperi. Partito dal beat, ha proseguito col prog quando la definizione neanche esisteva («nei festival lo chiamavamo pop»), ha contribuito a modellare il concetto di dark per poi passare da una psichedelia gotica alle atmosfere solari dell’Italo Disco, con tanto di tormentoni: cosa può esserlo più del «Gioca Jouer» firmato con Claudio Cecchetto?
 

Ripensando al suo percorso: esiste un pioniere più pioniere di lei nella musica in Italia? Vero che Claudio Simonetti non è solo italiano, essendo nato e cresciuto in Brasile.
Avere radici anche a San Paolo ha inciso di sicuro sul mio carattere. Senza falsa modestia devo dire però che non solo in Italia, ma nel mondo non vedo un musicista che abbia spaziato quanto me. Giorgio Moroder è un mito, ma non ha fatto tanto rock.
 

Lei sì, tanto da avere un seguito folto in ambito metal. Figlio d’arte di un grande come Enrico Simonetti, che nello spettacolo aveva fatto semplicemente tutto, ha saputo seguirne le orme reggendo il paragone: un’impresa per pochi eletti, gente come Alberto Angela e Paolo Maldini. Un genitore simile è stato più uno stimolo o un ostacolo?
Io a mio padre devo tutto, anche se agli inizi ho pagato dazio. Per tutti ero sempre il figlio raccomandato, anche quando facevo il servizio militare.
 

Suonava pure con un batterista come Walter Martino, figlio del popolarissimo Bruno...
A maggior ragione. Mi ha aiutato, alla lunga, il fatto di fare cose distanti da quelle di mio padre. A differenza per esempio di Christian De Sica, diventato star della commedia nel solco del padre Vittorio.
 

Che però era un genio assoluto.
Vero.
 

Di padre in figlio, ma anche di figlio in padre: nel 1975 Profondo Rosso dei suoi Goblin fu scalzato in cima all’hit parade dalla colonna sonora della serie tv Gamma, firmata proprio da papà.
Però alla base ritmica c’eravamo sempre noi Goblin... E abbiamo suonato con mio padre anche un’altra volta, insieme all’orchestra della Rai, per Big Band Concerto and Other Tales. Esiste una registrazione di quella sessione nello studio di via Teulada. 
 

La chicca della sua carriera?
Ci metterei anche il fatto di aver aperto ai Van der Graaf Generator con un mio vecchio gruppo, Il Ritratto di Dorian Gray, nel ’71/72 al Piper di Roma: nel 2014, in Giappone, sono stati invece loro a farmi da apertura. 
 

Una medaglia al petto. Come la gratitudine dichiarata di Elio de Le Storie Tese.
Eh sì: ha sempre detto di aver scoperto i tempi dispari con Profondo Rosso, che è un pezzo prog con un ritmo di 7/4 decisamente irregolare. 
 

Contro ogni regola delle canzoni da classifica, un successone. In quanto tempo è stato partorito?
Otto giorni! È accaduto tutto al volo, cogliendo l’attimo. Dario Argento aveva già assegnato le musiche di Profondo Rosso a Giorgio Gaslini, ma voleva un suono più rock e chiese di contattare i Pink Floyd o i Deep Purple a Carlo Bixio, che era anche il nostro produttore e che gli suggerì di darci un’ascoltata: «Sono giovani, bravi e di Roma, in più non costano una tombola come quelli». Dario ha promosso i Goblin e litigato con Gaslini. Quindi abbiamo completato noi la colonna sonora oltre a realizzare il tema principale. Eravamo dark, andavamo bene.
 

Benissimo: uno stile difficilmente eguagliabile, tanto che Thom Yorke quando si è cimentato col remake di Suspiria ha evitato con cura di avvicinarsi a quelle sonorità.
Lo capisco. Luca Guadagnino ha avuto un bel coraggio a girare un film del genere. Una mia amica giornalista si è presentata alla conferenza-stampa con una t-shirt dei Goblin e ha chiesto a Yorke di fare un selfie. Lui però dopo aver visto la sua maglietta si è rifiutato.
 

Piccinerie.
Mi spiace, fra l’altro è molto bravo: ho tutti i suoi dischi con i Radiohead.
 

Quarant’anni di collaborazione con Dario Argento. Come lo definirebbe?
Più sorridente di quanto possano far pensare i suoi film, ma da prendere con le pinze: è molto lunatico, un giorno allegro l’altro meno, e sul lavoro può essere cattivissimo. Ci vuole poco con lui per farsi cacciare dal set. 
 

Romero? 
Ho avuto la fortuna di passare un pomeriggio con lui un anno prima che morisse, insieme a sua moglie. Un bel ricordo. Ho frequentato di più Bava, collaborando a due film. Ci conosciamo bene.
 

Spazia da sempre: cosa le piace suonare di più?
Amo il rock, ma adesso è ristagnante. Più viva e innovativa l’elettronica. A casa ascolto volentieri dance. Gli anni ’80 sono stati una favola: il mio spirito brasiliano si diverte nelle discoteche.
 

Già nel ’78 aveva lanciato l’Italo Disco con gli Easy Going chiamando per la prima volta in un progetto simile un dj, l’allora giovanissimo Paolo Micioni.
Ho anche inaugurato la stagione dei dj sul palco da componenti di una band con Faber Cucchetti: i Linkin Park sono arrivati dopo.
 

Cos’è la musica?
Fonte di vita. Sono nato nella musica in Brasile, crescendo fra palchi e retropalchi, poi in Italia dal Teatro delle Vittorie a quello Olimpico: da ragazzo ho conosciuto Mina, da grande ho lavorato con Pippo Baudo. Era la mia strada. Andavo al liceo scientifico quando dissi a mio padre che volevo fare il musicista: «Per farcela devi studiare», la risposta. Ho fatto pianoforte e composizione al conservatorio, mentre suonavo nelle prime band. Classica e rock. Sempre e comunque musica: da quando sono al mondo, questo faccio. Domani sarò a Brescia, quindi volerò nuovamente all’estero.
 

Dove?
Da fine ottobre in America, Canada e Giappone per il 45° anniversario di Suspiria: a settembre uscirà una versione nuova della colonna sonora, tutta risuonata. Poi a Tokyo, a dicembre, faremo pure Phenomena per la prima volta. Non vedo l’ora.

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