INTERVISTA

Tony Hadley

di Gian Paolo Laffranchi
«Dagli Spandau ai Queen: Brescia, venerdì canto per te»

La sua forza è che ha sempre messo tutti d'accordo. Cantante raffinato e completo, voce calda e potente adatta al pop e al rock come al soul e al swing, anima da crooner ma col groove nel sangue, british gentleman con la presenza da frontman: Tony Hadley poteva essere un emulo di Frank Sinatra come entrare a far parte degli Chic. Invece è diventato il simbolo del movimento New Romantic, voce e volto degli indimenticabili Spandau Ballet. Con la band ha segnato un'epoca, non soltanto per la rivalità con gli altrettanto storici e inossidabili Duran Duran, ben oltre quel duello fra giovani belli ben vestiti e forniti di canzoni accattivanti. La sua arte, al tempo stesso, non poteva essere seminale: troppo esteso ed elegante il suo canto, insostituibile anche per il suo gruppo (che da quando si è chiamato fuori 4 anni fa ci ha provato invano). Solo Hadley può cantare melodie che non hanno eredi e ha tutta l'intenzione di confermarlo venerdì sera, nell'atteso concerto bresciano in programma al Gran Teatro Morato (inizio alle 21.15, biglietti reperibili online su Ticketmaster.it, Ticketone.it e nei punti vendita autorizzati ZedLive; tutte le informazioni sono consultabili sul sito www.zedlive.com).

Mr. Hadley, cosa devono aspettarsi i fan da questa data bresciana?
A Brescia canterò tutto quello che mi va di cantare in questo momento - sorride -. Un'antologia, una sorta di «best of». E prometto che non mancheranno affatto le sorprese.

Può anticipare qualcosa?
Sì: ci sarà una parte di scaletta sicuramente natalizia, visto il periodo. E poi è un genere di canzone che mi piace e appassiona da tempo. Ci sarà un pezzo dei Queen, perché ho deciso che in questo tour in ogni data omaggerò Mercury, May, Deacon e Taylor per quello che hanno saputo fare nella loro carriera.

E non mancheranno i grandi successi degli Spandau Ballet, giusto?
Assolutamente no: i classici ci saranno tutti, non ci sono dubbi. Da «Gold» a «Only when you leave», da «I'll fly for you» a «True». Sono pezzi che tutti amano cantare anche adesso, dopo tanto tempo. Pezzi che sono durati oltre le mode del momento.

Lo show sarà elettrico o acustico?
Mi esibirò in acustico. Una veste che amo indossare perché in acustico l'atmosfera è più intima e sale ulteriormente la voglia di cantare insieme. Ma non sarà un concerto raccolto, solo riflessivo: ci saranno momenti di puro divertimento e che invoglieranno a battere il piede, ballare e fare festa. Brani più uptempo come «Lifeline».

Nel 1984 lei fu il primo cantante a registrare una voce solista in «Do they know it's Christmas?», l'inno benefico di Band Aid. Big fra i big. Come ha fatto a rimanere sulla cresta dell'onda per così tanto tempo, pur fra gli inevitabili alti e bassi che toccano a tutti?
La passione. La professionalità. La voglia di fare questo bellissimo mestiere, di imparare sempre qualcosa di nuovo. E c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare. Dopodiché è giusto evolversi: per esempio da ragazzo indossavo roba di pelle che non vesto più, perché ho deciso di invecchiare con grazia.

Se ripensa a quando tutto è cominciato?
All'inizio pensavamo soltanto «Ok siamo 5 ragazzi, siamo gli Spandau Ballet e facciamo musica pop». All'inizio vuoi soltanto andare avanti il più possibile, suonare il più possibile, ma non credo di aver pensato che avrei cantato musica swing o che sarei diventato una superstar un giorno. Ancora oggi voglio mettermi alla prova il più possibile, faccio anche il deejay, ho messo in piedi due stazioni radio, cerco di godermi la musica e credo di essere incredibilmente fortunato ad essere ancora in questo mondo dopo più di 40 anni.

Dalla Bassa al Garda, ha già cantato nel Bresciano e in Italia è un habitué. Amatissimo da decenni. A cosa attribuisce questo feeling superiore anche a quello che la lega all'audience di altri paesi?
Io non so quale sia esattamente il motivo, ma questo affetto lo sento sulla pelle e sono grato al pubblico italiano, e naturalmente a quello bresciano che non vedo l'ora di ritrovare. L'Italia per me significa sorridere. Io sto bene in Inghilterra, sono affezionato ad Oxford e ai luoghi ai quali sento di appartenere, felice di vivere in campagna. Ma se penso all'Italia mi brillano gli occhi: il cibo, la moda, l'architettura. In Italia la bellezza è ovunque. L'Italia è un grande paese, semplicemente amazing. Non vedo l'ora di essere a Brescia. E sono convinto che ci divertiremo venerdì sera.

Per il pubblico televisivo italiano è una presenza familiare ormai.
Sì, dal Festival di Sanremo ai programmi Rai ho avuto diverse occasioni di cantare anche davanti alle telecamere e mi sono sempre trovato a mio agio, sentito come a casa. Oramai capisco anche qualche parola, qualche frase, anche se non posso dire di saper parlare italiano.

Ha collaborato con Caparezza in «Goodbye malinconia», ma anche con il nostro Fausto Leali, un orgoglio bresciano.
Fausto è un amico, ma non gli farei onore se dicessi di lui solo questo. L'ho incontrato davanti a una platea televisiva ma non solo, ho duettato con lui ed è stato bellissimo.

«When a man loves a woman»...
Di Percy Sledge, sì: che pezzo! E che voce ha Fausto. Una eccezionale, potente voce adatta al rock e non solo, anche al blues, al soul... Leali ha tanta anima.

Cosa pensa del grande, repentino successo su scala mondiale dei Måneskin? Se c'è uno che può capire cosa passa dalla testa di un ventenne alle prese con simili soddisfazioni e altrettante pressioni è lei.
Sì, so come ci si sente. Ma questi ragazzi sono bravi, professionali, ci sanno fare e non fatico a spiegarmi le ragioni del loro trionfo. Detto che sono anche la band preferita di mia figlia.

I suoi tre dischi da isola deserta?
Direi di Frank Sinatra «Las Vegas», di David Bowie «All Saints», dei Queen «A Night At The Opera».

La canzone che ha più voglia di cantare venerdì a Brescia?
Senza nulla togliere alle altre: «Through the barricades» mi rappresenta. E mi emoziona sempre..

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