L'intervista della domenica

Valerio Borgonuovo, direttore Laba: "Sarà un anno innovativo per formare i professionisti del futuro"

di Gian Paolo Laffranchi
Insediato nove mesi fa insieme al direttore artistico Marco Senaldi punta a utilizzare il metaverso come strumento pedagogico. Il 27 novembre ospite dell'Accademia l'artista Francesco Vezzoli
Borgonuovo
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Se il 2023 è stato «l’anno zero», com’era nelle premesse, adesso il futuro è un infinito di possibilità e suggestioni da governare e prim’ancora abbracciare. Valerio Borgonuovo, direttore della Laba da 9 mesi quando si è insediato col direttore artistico Marco Senaldi, non vede l’ora che si inauguri il nuovo anno accademico: «Il 27 novembre avremo come ospite Francesco Vezzoli - annuncia -. Riassumeremo con lui che è artista visivo e cineasta quello che siamo e che saremo. Un esempio da seguire per i nostri studenti. Ci piace ospitare figure come lui e come Silvano Agosti che l’ha preceduto, altro grande artista bresciano. Sarà come abbracciare la nostra essenza, verso una stagione innovativa».

Curatore e autore di diversi libri sulla pedagogia e la didattica dell’arte, parola d’ordine «eduverso» (dichiarato in questi mesi l’intento di implementare l’utilizzo del metaverso come strumento pedagogico), Borgonuovo è nato in provincia di Napoli. «Sono di origini partenopee da parte di padre, ma sono cresciuto a Bologna e soprattutto a Modena. Ci spostavamo per seguire mio padre Mario nel suo lavoro. Sono nato nel 1980, lo stesso giorno di Pasolini e Battisti: il 5 marzo. È anche il giorno in cui è morto Stalin».

Com’era Valerio bambino?

Molto introverso. Mi rifugiavo nei miei mondi immaginari, da buon figlio unico. Mi appassionavano le costruzioni con materiali di risulta trovati in casa o per strada, coi quali costruivo architetture stravaganti e un po’ cinematografiche, visto che guardavo già molti film. Non mi sono fatto triturare dai giochi al computer nonostante mio papà sia stato uno dei primi server provider in Italia. Abbiamo avuto il web fin dalle origini. Allora ci voleva una notte intera per scaricare una canzone, una foto.

Come se la cavava a scuola?

Ero superindipendente, al liceo scientifico proponevo controprogrammi ai docenti, cosa che suscitava malumore. E suonavo la chitarra elettrica.

Folgorato da?

Tanti. Ma erano gli anni dei Nirvana. Fondamentalmente il grunge. Mi sarebbe piaciuto essere mancino come Kurt Cobain e dover adattare la mia chitarra per questo. Li ho anche visti dal vivo, appena ragazzino, nel loro ultimo concerto. Poi c’è stata la scoperta del Link di Bologna e del Maffia di Reggio Emilia.

Una svolta?

Mi si è spianata la strada che ero ancora studente: piattaforme interdisciplinari multicreative. A quel punto ho scelto di iscrivermi alla Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna con decentramento a Ravenna, dove mi sono trasferito.

Un percorso artistico.

Ma anche scientifico. Mi piaceva l’idea di avere questo genere di competenze. I miei erano preoccupati, un amico di famiglia li consolava: «Anche mio figlio faticava al liceo, poi ha cambiato passo». In effetti mi sono laureato in 4 anni e il periodo universitario è stato splendido. Post laurea ho preso un master in neuroscienze applicate alla gestione delle istituzioni culturali.

Com’è arrivato a Brescia?

Un ex docente coordinatore di Laba mi ha conosciuto a Bologna, dov’ero responsabile del patrimonio storico, artistico e architettonico della sanità pubblica dell’Emilia Romagna. Per capirci, è di valore pari a quello di tutto il Belgio. Con quell’ufficio ho collaborato per svariati anni, progettando programmazioni culturali sul tema del benessere e della cura applicati alla valorizzazione di quel patrimonio. Mi piaceva l’idea di uscire da Bologna, ho fatto avanti e indietro per 10 anni e oggi mi considero un bresciano adottivo.

Come si trova?

La sento come la mia città. L’ho trovata affine. Sono meteoropatico e l’Emilia non è ideale per quelli come me. Meglio Brescia: rispetto a Bologna qui non sembra nemmeno inverno.

Cos’è per lei la Laba?

Un punto di arrivo dopo molti anni di lavoro anima e corpo intorno a un metodo di docenza. La Laba mi ha dato modo di sperimentare. Negli ultimi anni nel mio insegnamento sono passato dall’Ottocento al presente, dalla storia dell’arte alla cultura visuale. Ho esercitato la voglia di cambiare programmi scolastici. Mai stato dell’idea che un’impostazione autoritaria fosse efficace: un ragazzo il futuro se lo costruisce da sé, al di là delle imposizioni formative. Ad un certo punto ho avuto a che fare con nativi digitali, così diversi rispetto ai giovani di 7-8 anni fa. Ho cercato di costruire assieme a loro un modulo che lavorasse sull’attenzione, contro gli individualismi. Sono molto in competizione fra loro. Io sono un padre di famiglia, ho un bellissimo rapporto con gli studenti e anche coi colleghi.

Cosa sogna ora?

Questi primi 10 mesi di direzione, di gioco di squadra a 360 gradi, dicono che quello che abbiamo seminato ha cominciato a dare frutti. Le accademie di belle arti faticano a tenere il passo, ma tutto parte del contesto. La Laba è proiettata verso il futuro ma radicata nel territorio, grazie anche agli input del nostro amministratore delegato Emanuela Zanchetta e del presidente Luigi Bracchi, così come grazie alle competenze della vice direttrice Daniela Alberti e del direttore artistico Marco Senaldi.

Priorità?

Formare le future generazioni di professionisti creativi. Abbiamo ripensato le scuole di fotografia, pittura e fashion design per produrre profili competitivi sul mercato anche attraverso un cambio di docenti e di programmi. Quest’anno abbiamo registrato un 30 per cento di iscrizioni in più: un dato fondamentale per noi ma soprattutto per il territorio, locale e nazionale. Abbiamo portato qui docenti di grande livello da Venezia, Milano, Londra, tutti entusiasti di partecipare al nostro progetto.

Com’è la sua vita, quando non è accademia?

Ho tanti interessi. Amo l’hi-end, sono dedito a musica esoterica e impianti valvolari, una passione ereditata da mio padre.

La canzone?

«To wish impossible things», dei Cure.

Il film?

«Animali notturni», di Tom Ford. Disturbante.

L’ultimo libro letto?

«Iperculturalità» di Byung-Chul Han, filosofo coreano che insegna a Berlino.

Tabù da sfatare?

Soffro di vertigini, ma sono ossessionato dalla montagna, con la mia compagna Ira e nostro figlio di 5 anni Noah faccio vacanze solo in altura.

Chi è Valerio Borgonuovo?

Uno che si mette alla prova.

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