Victoria Lomasko

«Grazie Brescia, qui l'arte è libera. I giovani cambieranno la Russia»

L’hanno definita «l’ultima artista sovietica», ma lei è d’accordo fino a un certo punto: il talento e la creatività «affiorano ovunque, in questo e in ogni momento, anche e soprattutto lontano dai riflettori». Le etichette semplificano, quindi non fanno al caso di Victoria Lomasko che alla via più comoda ha sempre preferito la verità. Costi quello che costi. «La più grande artista sociale grafica russa» - definizione in questo caso della stampa anglosassone - è pronta a dire ciò che pensa e ad agire di conseguenza, con le idee chiare di chi sa cos’è l’arte: prima di tutto «libertà». C’è voluto coraggio per lasciare la madre Russia da dissidente, incompatibile con il regime come ogni artista deve essere, e portare la sua mostra alla nostra città, che dal canto suo l’ha accolta come già aveva fatto con Badiucao l’anno precedente. L’abbraccio nient’affatto virtuale con l’artista cinese, benedetto dal Comune e da Fondazione Brescia Musei, sancisce una convinzione diffusa che qui ha messo radici: le rivoluzioni si fanno anche (soprattutto?) così, giorno per giorno, con scelte inconsuete figlie di strategie in controtendenza. Puntando su un concetto di cultura sinonimo di civiltà. Chiude oggi, «The Last Soviet Artist». Dopo due mesi di residenza nelle sale del Museo di Santa Giulia. Isolation, Escape, Exile, Shame, Humanity (isolamento, fuga, esilio, vergogna, umanità) i titoli dei suoi 5 lavori site specific. Una lente di ingrandimento su cos’è l’umanità, senza l’ossessione di trovare una risposta a domande più grandi di noi, nella consapevolezza di quanto già potersele porre insieme sia un passo avanti verso una soluzione, una prospettiva.

Due mesi bresciani fra il 2022 e il 2023, accolta in concomitanza del Festival della Pace da una città che diventa quest’anno Capitale della Cultura e che sta lavorando da tempo per crescere sotto questo punto di vista. Victoria, se ripensa al suo arrivo qui quale immagine le sovviene per prima?
Sono una di quelle persone che non amano farsi un’idea di un posto prima di averlo. Mi piace arrivare tabula rasa, studiare il luogo e scoprirlo pian piano. Forse dipende anche dal mio essere artista di reportage, con un’indole da documentarista. Tutti i posti che ho visto mi sono parsi più incredibili di quanto avrei pensato. Forse perché dopo aver lasciato la Russia qualsiasi Paese mi sembra bello. Brescia è bella di suo. Non dimenticherò la mia prima volta in castello. Del resto è tradizione di lunga data per gli artisti russi venire a visitare l’Italia. Un motivo c’è.

Qual è il suo, a posteriori?
A Brescia la luce è diversa, il cielo e le strade hanno altri colori. C’è arte, c’è libertà. Mi sono incamminata in salita e ho visto due persone entrare in una chiesa. L’ho fatto anch’io e sono rimasta impressionata dagli affreschi. In ogni altra parte del mondo sarebbero patrimonio di un museo, qui ognuno può entrare e ammirarli liberamente.

Nel 2023 sopravvivono le dittature, eppure le distanze sono azzerate dal web. I giovani hanno la forza di cambiare le cose?
Io credo di sì. Sono fan di Husky, rapper russo che racconta di panelka e di chrushevka, di case popolari e prefabbricati, una realtà opprimente da cui evadere attraverso la musica, le parole.

A Brescia un rapper ucraino, Slava, canta contro la guerra, ascolta artisti russi e condivide lo stesso desiderio di pace.
Penso che sia un buon artista perché capisce e non mette i suoi colleghi russi sullo steso piano di Putin. E penso a un gruppo, di San Pietroburgo, gli Shortparis, alla loro protesta creativa. La Russia è un enorme muro grigio. Anche fra i monumenti nascono le erbacce, crescono piante selvatiche che resistono alle rovine. Gli artisti sono così. Io mi sento una di quelle piante. Un’erba da campo, selvatica.

Oggi come oggi si considera più ottimista o pessimista?
Non esistono periodi storici in cui non si veda una luce, una prospettiva. E non succede mai che la generazione precedente sconfigga la successiva. Navalny o chi per lui potrà riunire un’opposizione intorno a sé. In ogni caso i giovani vincono sempre. La vita resiste e s’impone, alla fine. 

Alla base delle sue opere c'è una strategia o è innato questo modo di esprimersi trattando in modo accattivante temi dolorosi, lanciando messaggi forti e chiari a tutti senza respingere all'ingresso nessuno?
The Guardian mi ha descritto come una artista «brutale e buffa» nel contempo. Mi sono sentita finalmente capita. in effetti spesso sento sia rabbia per le ingiustizie, sia empatia per le persone semplici. Chi fa arte deve sempre cercare un terreno comune di compassione per avvicinarsi alla gente. È il dono che può fare al prossimo. Se dai attenzione e rispetto a chi non ne ha, lo vedrai cominciare a guardarsi e comportarsi per primo con dignità.

Da quando è iniziata la guerra, cosa l'ha spinta a sperare in futuro migliore?
Quando è scoppiato il conflitto, sui social ho letto di tutto contro di me. Che avrei dovuto smettere di disegnare e piazzarmi davanti a un consolato russo con il cartello «no» alla guerra. Oppure diventare volontaria e dare tutti i miei averi ai profughi ucraini. Io, che sono scappata solo con una gatta, una valigia e un visto molto breve, senza prospettive se non la fuga, leggendo quelle cose ho provato solo rabbia. Potevo capire gli ucraini, ma quando le lezioncine arrivavano dagli europei... Poi mi sono ritrovata in una residenza per artisti in difficoltà, in una zona a rischio, e ho conosciuto una ragazzina ucraina sempre molto contenta di vedermi. Parlava in russo, voleva giocare con me, andare in bici. «Perché sei così buona con me mentre l'esercito russo sta bombardando la tua città?», le ho chiesto. «Non sei tu a bombardare, ma le persone da cui sei scappata», mi ha risposto. La prima cosa gentile che mi sono sentita dire dall'inizio da guerra. Mi sono allontanata da lei perché ho iniziato a piangere e non riuscivo a smettere. Sono andata in camera mia e ho cercato tutti i modi possibili per inviare i miei soldi ai profughi ucraini in Russia. Così funziona la bontà, così deve funzionare l'arte: solo la sua forma più alta può arrivare all'altezza di quella ragazzina..

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