Sanità

Nasce il rene «portatile». «Un primo grande passo per dire addio alla dialisi»

di Franco Pepe
Ci sta lavorando il vicentino professor Claudio Ronco, direttore scientifico dell’Irriv
Il prof. Claudio Ronco e Thiago Reid Con il rene "portatile" AD1, Artificial Diuresis 1
Il prof. Claudio Ronco e Thiago Reid Con il rene "portatile" AD1, Artificial Diuresis 1
Il prof. Claudio Ronco e Thiago Reid Con il rene "portatile" AD1, Artificial Diuresis 1
Il prof. Claudio Ronco e Thiago Reid Con il rene "portatile" AD1, Artificial Diuresis 1

Si chiama AD1, Artificial Diuresis 1. Ed è il rene portatile al quale sta lavorando il professor Claudio Ronco, 71 anni, primario e cattedratico universitario di nefrologia in pensione, oggi direttore scientifico dell’Irriv, l’istituto di ricerca internazionale sulle malattie renali da lui fondato anni fa, quello che ad Umberto Veronesi, il grande oncologo scomparso poco più di sei anni fa, fece dire che a Vicenza si era riusciti a inventare un “unicum” in medicina unendo assistenza, cura e ricerca. 

Il rene "bionico"

Creare un rene “bionico” o artificiale, che consenta ai malati di dire addio alla schiavitù perenne della dialisi in ospedale e di salvare migliaia di vite in pericolo, è un antico sogno di Ronco come di centinaia di scienziati che da anni inseguono quella che sarebbe la rivoluzione del secolo in campo biomedico, una innovazione epocale che farebbe veramente riscrivere la storia della nefrologia. 

Cos'è la dialisi

La dialisi è quel trattamento con cui grazie a un circuito di pompe artificiali il sangue avvelenato dalle tossine circola attraverso un filtro che lo “pulisce” e ritorna al paziente privo di sostanze tossiche. Ma per farlo, in attesa di un possibile ma anche improbabile trapianto di fronte al numero dei pazienti in attesa e degli organi a disposizione, occorre andare tre volte la settimana in ospedale e restare per quattro ore attaccati alla macchina che depura il sangue. Per questo la corsa tecnologica che continua in tutto il mondo per eliminare una sofferenza e uno stress che condizionano e accorciano la vita. 

Il prototipo Wak nei primi anni Duemila

Ronco, già nei primi anni Duemila, collaborava con Victor Gura, un americano che aveva sviluppato il Wak, Wearable artificial kidney, un prototipo che si poteva allacciare intorno ai fianchi per filtrare il sangue in sostituzione dei reni. Gura venne anche a Vicenza per sperimentare il dispositivo su un paziente, e quella esperienza pionieristica, replicata al Royal free hospital di Londra e al Cedars Sinai hospital di Los Angeles, sembrava aprire uno spiraglio decisivo. Invece una serie di difficoltà tecniche non semplici da superare, dai materiali al filtraggio del sangue fino alla tenuta del meccanismo di rimozione delle tossine e di assorbimento delle scorie, interruppero il progetto, senza per altro frenare la determinazione del professore vicentino.

Ed ecco ora AD1 

Si tratta di una novità assoluta. Claudio Ronco lo ha costruito con un’azienda di Modena e potrebbe costituire la svolta. «È - spiega - una specie di zainetto collegato a un piccolo catetere che si appende al fianco del paziente all’interno di una sacca. Ci è appena arrivata l’autorizzazione dal comitato etico aziendale, e prestissimo cominceremo con la sperimentazione clinica. Abbiamo fatto uno studio sugli animali, e l’esito è davvero incoraggiante. AD1 funziona perfettamente». 

Rimane un gap

«Per il momento - dice - questo sistema non effettua la dialisi completa. Si ferma alla filtrazione. Serve a rimuovere l’acqua ma non le scorie. È utilissimo a togliere l’edema che si forma quando i reni funzionano poco o quasi per nulla. Per alcuni pazienti, ad esempio coloro che hanno uno scompenso cardiaco, si gonfiano e non traggono giovamento dai farmaci diuretici, potrebbe diventare l’unica possibilità per curarli a casa. E questo soprattutto in Paesi poveri che non possono contare su dipartimenti specializzati e risorse».

Un primo sostanziale passo, dunque: «È - osserva Ronco - un grosso ausilio alla dialisi classica. Abbiamo iniziato un percorso che deve essere a tappe ma che apre già adesso orizzonti interessanti. L’obiettivo è di giungere alla dialisi completa». 

La ricerca continua

La strada è complessa ma si può (e si deve) arrivare. Ronco conosce le difficoltà e vuole esplorare le soluzioni possibili per trovare la via d’uscita dal labirinto. «Il nostro rene processa quasi 1500 litri di sangue al giorno. L’elettronica si può miniaturizzare, l’idraulica no. Inutile, perciò, seguire il sistema della dialisi tradizionale. Cercheremo di usare sostanze resinose polimeriche che riescano ad estrarre le tossine dal sangue. Le abbiamo utilizzate con successo durante il Covid. Il prossimo step sarà di incorporare questo materiale assorbente all’interno di AD1 per compiere il processo intero di dialisi, eliminando l’acqua, le scorie, e aggiungendo gli ormoni». 

 

 

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