Lo spunto

La ricerca dell'Università di Verona: «Cambiare il "vinese", la gente non lo capisce»

(ANSA) - ROMA, 26 FEB - Il fascino del mondo del vino è legato alla qualità da bere ma anche ai riti di degustazione, alla geografia delle denominazioni che fa esplorare ogni regione italiana, e alla presentazione di sommelier, ma spesso questo linguaggio risulta elitario, e poco comprensibile ai più. Al punto che un italiano su tre non coglie e rischia di travisare i termini usati dai sommelier nella comunicazione sensoriale di un vino.

Anzi alcuni dei descrittori più in voga, ad esempio tannico, astringente, abboccato, risultano non comprensibili a un terzo degli intervistati in una ricerca dell’università di Verona illustrata dallo psicologo Roberto Burro in un intervento alla Valpolicella Annual Conference promossa dal Consorzio di tutela dei vini del veronese. In particolare, analizzando 64 descrittori indicati nelle guide enologiche e nei disciplinari di produzione delle Doc e Docg, insieme ai termini tecnici Ais (Associazione italiana sommelier) emerge che il 40% dei termini utilizzati riguardano l’olfatto, altro 40% sono descrittori del gusto, il 16% ha a che fare con la vista, e poco altro (4%) viene lasciato a un racconto diretto del territorio, azienda, storia dei winemaker, correlazioni con moda, arte, design. Dunque ha poca voce una identificazione della personalità della bottiglia mentre si evidenzia l’esigenza di migliorare il dialogo tra esperti e non. Per far questo, secondo l’esperto di psicologia, va cambiato il linguaggio, con un approccio personalizzato secondo l’utente e il suo grado di conoscenza della materia enologica. «Interessante la proposta di cambiare il «vinese» ha commentato il presidente del Consorzio di tutela dei vini Valpolicella Christian Marchesini: »spesso - ha ammesso - ci capiamo tra noi, ma evidentemente il consumatore vuole un linguaggio nuovo e più inclusivo. Non solo per gli addetti ai lavori. Come Consorzio - ha proseguito Marchesini - siamo convinti che semplificazione debba comunque essere sinonimo di conoscenza.

Per questo stiamo lavorando sulla formazione internazionale attraverso il Vep, (Valpolicella education program), corso per influencer internazionali, giornalisti e operatori del settore che in quattro anni ha accreditato 28 ambasciatori della Valpolicella nel mondo«. I sommelier, ha ricordato Paola Simonetti, capo redattore della guida Bibenda della Fondazione italiana Sommelier (Fis), »fanno un lungo percorso tecnico e pratico di formazione e assaggio. Se si trovano davanti a un vino carico di colore, dicono che è ricco di antociani ed è un linguaggio corretto. Ma tutto va tarato secondo l’uditorio, è importante non essere spocchiosi, quindi benvenga la semplificazione. Come del resto succede con un buon chirurgo che vuole farsi capire dal paziente. Altro è invece lo slang che, anche nel settore del vino, vede qualcuno inventare termini di degustazione, senza poi trasmettere conoscenza del vigneto Italia«. Un compito che spetterà anche al toscano Gabriele Gorelli, primo Master of Wine designato in Italia. Mio compito, ha detto il giovane da Montalcino, »è quello di rendere accessibile e comprensibile a tutti le eccellenze italiane, valorizzandole e creando valore aggiunto lungo tutta la filiera«. Intanto, fortunatamente la qualità dei rossi veronesi si fa comunque ben capire attraverso i calici, sia sui mercati esteri che nell’e commerce. Al punto che per Callmewine, piattaforma online con 9mila etichette, »l’incremento sui volumi è stato dell’84%, grazie in particolare - ha precisato il fondatore, Paolo Zanetti - al Valpolicella e all’Amarone. A valore le vendite della Docg rappresentano il 55% del totale, con il Ripasso al 28%, il Valpolicella (classico e superiore) al 17% e il Recioto all’1%. La prima regione per bottiglie vendute è la Lombardia (31%) seguita da Veneto (12%), Lazio ed Emilia Romagna (11%)«.

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