Più alberi per vincere la sfida-clima

di Omar Valentini

Gentile direttore, l’argomento che tiene banco oggi, un giorno sì e l’altro pure, è quello della crisi climatica, cioè della crisi ecologica, politica e sociale legata al surriscaldamento globale causato dall’attività umana. Se ne parla tanto, ma l’impressione è che le idee siano ben confuse e che si sia rimasti all’anno zero, ovvero che non si registri alcun progresso. Le conoscenze scientifiche hanno fatto passi da gigante, ma mi pare che non abbiano diritto di cittadinanza nell’inutile dibattito infinito. Credo che sia necessario fissare dei punti fermi. Stiamo affannosamente cercando le soluzioni del problema, ma quelle finora più accreditate non mi paiono le più efficaci, né quelle più facilmente attuabili. Tenendo conto dei dati scientifici, che curiosamente sono pressoché sempre esclusi dai dibattiti televisivi, si possono intravedere le vie più facilmente percorribili. I carotaggi dei ghiacci in Antartide hanno finora fornito informazioni sul clima e sulla composizione dell’aria degli ultimi 800.000 anni. Si è visto che in tutto questo periodo i livelli del diossido di carbonio, anche durante periodi più caldi di quello attuale, si sono sempre mantenuti sensibilmente al di sotto dei livelli raggiunti negli ultimi decenni. La cosa mi risulta assai significativa, nonché un tantino preoccupante. Bisogna ora considerare con rigore e attenzione i dati scientifici di cui disponiamo. Un dato che va tenuto ben presente è quello della persistenza nell’atmosfera del diossido di carbonio. Questo gas, che trattiene la radiazione solare infrarossa, e che è quindi un «gas serra» poiché fa aumentare la temperatura atmosferica, si differenzia da altri gas serra, come per esempio il metano o il vapor d’acqua. Mentre l’acqua ciclicamente passa dalla fase vapore a quella liquida condensandosi, e il metano tende a scomparire ossidandosi, la molecola del diossido di carbonio è molto stabile e permane nell’atmosfera per periodi lunghissimi. Se l’inquinamento dovuto a questo gas cessasse improvvisamente, le sue concentrazioni nell’atmosfera diminuirebbero con estrema lentezza, mantenendosi elevate per secoli o millenni. Cercare di diminuirne le concentrazioni bloccandone il più possibile le emissioni è cosa buona e giusta, ma produrrebbe effetti troppo ritardati. Nel frattempo non riusciremmo ad arginare le devastazioni prodotte dal riscaldamento globale. La via da percorrere è un’altra. Anche azzerando oggi stesso l’immissione nell’atmosfera del diossido di carbonio, servirebbero tempi biblici per recuperare le condizioni climatiche del passato. La via alternativa, ovvero la soluzione più razionale ed efficace (oltre ovviamente alla via maestra di una politica di contenimento demografico) è quella di sottrarre questo gas dall’atmosfera, piuttosto che quella di cessarne la produzione. I tempi si accorcerebbero così di centinaia di volte e i danni sarebbero incomparabilmente minori. Chi può farlo? La risposta è semplice: le piante. Queste ultime hanno trasformato il nostro pianeta, creando le condizioni per la comparsa della vita animale, tra cui la nostra. Senza le piante non saremmo mai esistiti. Vuoi vedere che grazie alle piante possiamo pensare di continuare a esistere? Un buon suggerimento che danno gli scienziati è quello di arrivare a piantare un migliaio di miliardi di alberi. Può sembrare esagerato, ma forse questa rappresenta la soluzione più pratica, più rapida, più economica, più ecologica e meno traumatica tra quelle finora ricordate. Le piante se la «mangiano» l’anidride carbonica, ci fanno respirare meglio e possono essere i nostri più validi alleati per conservare la biosfera e il nostro mondo. Nel Piano di ripresa e resilienza sono previsti molti fondi per ridurre le emissioni e pochi per la ripopolazione di alberi. Sarebbe cosa saggia e razionale riconsiderare il problema e magari invertire gli importi. Omar Valentini Salò

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