Salute mentale ora bisogna fare di più

di Eloisa Bontempi

Egregio direttore, in occasione della Giornata Mondiale per la Salute Mentale il 10 ottobre, la Loggia si è illuminata di verde. Io, paziente affetta da diagnosticata sindrome affettiva bipolare, mi illumino di rosso. Si può scorgere persino il fumo uscire dalle mie narici incendiate. Panchine rosse contro la violenza sulle donne, lucine verdi per la salute mentale, ma si continua a fare poco o niente per mettere in atto miglioramenti concreti su questioni di vitale importanza e urgenza. Per quanto mi concerne, posso testimoniare che gli attuali servizi di salute mentale forniti dal sistema pubblico sono piuttosto limitati e di scarsa qualità, tanto che si potrebbe dire che le patologie psichiatriche vengano considerate di secondo livello rispetto a tutte le altre. Nello specifico a Brescia, le strutture messe a disposizione - come CPS, CIDAF e CDAP - sono talmente inadeguate che la stragrande maggioranza dei pazienti, che non hanno il privilegio di permettersi cure private, permangono nella stessa condizione di disagio per anni o spesso abbandonano la terapia perché mal seguiti. Troppi pazienti in attesa rispetto al personale disponibile, visite sbrigative a catena di montaggio e in numero limitato, ambienti inospitali, scortesia e freddezza da parte di quasi tutti gli operatori, cominciando dall'accoglienza per finire con gli psichiatri che ci prendono in carico. Non esiste inoltre alcun tipo di cooperazione tra psicologi dei consultori e psichiatri dei CPS, cosa a mio avviso fondamentale. I reparti ospedalieri di psichiatria non offrono servizio di riabilitazione e il paziente non fa altro che assumere la terapia farmacologica, con scarsissima o - in alcuni casi - del tutto nulla consulenza psicoterapeutica d'appoggio, per poi cadere moralmente sempre più giù, soprattutto una volta dimesso. Centri riabilitativi diurni che funzionino, per permettere a chi ha perso tutto di tornare a vivere e reinserirsi nel sociale, non esistono. I pochi presenti sono strutturati similarmente a Rsa in stile manicomio, che niente hanno a che vedere con qualcosa di riabilitativo; oltre al fatto che sono al momento parzialmente inoperativi per Covid. Non sarà colpa degli operatori, ci sarà sicuramente un problema di mancanza di fondi, ma sono convinta che uno sforzo in più da parte di tutti gli organi preposti si possa fare. A cominciare dalle istituzioni. Dopotutto il paziente psichiatrico è un individuo fragile e mentalmente vulnerabile verso il quale un atteggiamento d'ascolto e di rispetto della persona sarebbe la base per un approccio rivolto alla cura del disturbo a 360°. Serve un sistema di servizi di salute mentale efficiente, umano e collegato tra le varie parti, che faccia da rete al paziente, il quale spesso si trova solo e alienato nel suo malessere. Un estratto del libro dello psichiatra dott. Giuseppe Tibaldi: «La relazione - ci ha insegnato Franco Basaglia - è terapeutica quando incontra l'altro su un piano di rispetto e reciprocità, quando va incontro al bisogno più profondo della persona: quello di essere riconosciuti. Quando l'orizzonte della cura si riduce perlopiù al contenimento chimico della sofferenza, l'apatia che ne deriva porta la persona a uno stato di semplice sopravvivenza, che azzera ogni iniziativa di cambiamento. È la perdita della speranza: nel futuro, nella propria vita, nella cura, e nell'impegno necessario ad affrontarla. La sfida che oggi devono porsi i servizi che accolgono persone fragili è passare dall'apatia della sopravvivenza alla rinascita della passione di vita: passione di relazioni, di ricerca, di libera costruzione di sé». Eloisa Bontempi

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