L’ANNIVERSARIO

I 75 anni della Neri Pozza

di Giuseppe Russo
75 anni Neri Pozza

Nel 1952, Neri Pozza partecipa al Premio Strega con il romanzo d'esordio di Goffredo Parise, Il ragazzo morto e le comete. È un'edizione particolarmente ricca del Premio, quella del 1952. Al concorso partecipano scrittori le cui opere sono oggi unanimemente riconosciute come appartenenti al canone letterario del nostro Novecento: Italo Calvino, Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia, Mario Tobino, tra gli altri. Calvino concorre con il suo Visconte dimezzato. Gadda con il suo Primo libro delle favole. A vincere, però, è Moravia con i suoi Racconti pubblicati da Bompiani. Nel 2021, Neri Pozza partecipa al Premio Strega con Due vite, l'opera di uno scrittore che, a detta di molti, figurerebbe di certo nel canone letterario della nostra contemporaneità, se qualcuno si prendesse la briga di compilarlo.

La vittoria di Trevi e di Neri Pozza, nella settantacinquesima edizione del Premio Strega, non è una cosa di poco conto. Mostra che il maggiore Premio italiano è capace di difendere la sua ispirazione originaria, la difesa, cioè, dei valori letterari, al di là dei rapporti di forza esistenti nell'editoria del nostro Paese. Rappresenta inoltre un rilevante riconoscimento per una sigla storica nata anch'essa settantacinque anni fa per affermare, secondo le parole del suo fondatore, i valori dell'arte e della poesia contro "il buio e la vanità" che la storia a volte ci riserva. L'espressione "difesa dei valori letterari" traduce indubbiamente il progetto letterario della Neri Pozza dalla sua fondazione sino ai nostri giorni. Tuttavia, è un'espressione usata spesso enfaticamente, senza che se ne dia ragione. Che cosa significa, in effetti, difendere i valori letterari? Significa opporsi oggi alla minaccia dell'indistinzione tra alto e basso, al proliferare del mero intrattenimento commerciale? Oppure significa contrastare l'incompetenza trionfante non soltanto in letteratura, ma nell'insieme delle relazioni sociali? Ma queste minacce e derive sono soltanto fenomeni secondari della minaccia vera e propria racchiusa nel nostro tempo, una minaccia del tutto nuova rispetto a quella del fascismo e della guerra, terribile certo e intrisa di assoluta barbarie, che ha segnato la giovinezza di Neri Pozza e della sua generazione.

Neri Pozza era un giovane liberale antifascista quando, nel 1946, fondò la sua casa editrice. Anzi, era quello che si definirebbe oggi un liberale classico. Per un liberale classico, com'è noto, l'economia in generale costituisce un mezzo per un fine limitato, l'allocazione efficiente di risorse scarse procurata dalla "mano libera" del mercato. Da Adam Smith fino ai fondatori della scuola di Chicago, è una verità indiscussa il fatto che i fini ultimi della società e della vita siano stabiliti nella sfera non-economica, al di là, cioè, del mero interesse personale e del calcolo. La celebre affermazione di Neri Pozza, contenuta nella lettera a Goffredo Parise del 1956 - "sono un vecchio provinciale con idee estremamente chiare anche se sbagliate (per te). Saranno idee d'arte e di poesia, che fanno pochi soldi, ma sono le sole capaci di sedurmi e interessarmi" - è intrisa di una simile concezione del mondo. I valori che contano sono valori non-economici, valori poetici, artistici che appartengono a una sfera in cui non è lo "spirito animale" dell'homo oeconomicus ad avere la meglio, ma lo "spirito riflessivo" dell'individuo libero. L'arte, la poesia, la letteratura, come anche la politica (Neri Pozza è stato a lungo impegnato politicamente tra le fila dei repubblicani di tradizione azionista) appartengono, per il fondatore della casa editrice, alla sfera del discorso pubblico in cui i valori "spirituali", i diversi disegni "riflessivi", contribuiscono alla creazione di quella società aperta e plurale che va sotto il nome di democrazia liberale. La minaccia per un liberale classico, e per l'intera generazione cui apparteneva Neri Pozza, è la sparizione di questa sfera riflessiva dal discorso pubblico, l'emergere del vuoto che, come ha scritto Angelo Tasca nel suo Nascita e avvento del fascismo, le forze selvagge della tirannide, "attratte e moltiplicate da esse, si affrettano a colmare".

Per tradurre la minaccia dinanzi alla quale ci troviamo noi oggi, Michael Krüger, l'ex direttore editoriale di Hanser, ha sostenuto che viviamo in un mondo "non letterario", un mondo, cioè, in cui l'atteggiamento del venditore è stato applicato a tutta la società e ha permeato tutti i modi di esprimersi, in primo luogo quelli propri della cultura. Se si guarda a quanto è accaduto nell'editoria e nella distribuzione libraria odierne, nelle quali risuona ovunque il vocabolario economico degli algoritmi, dei data base, delle ricerche di mercato, del business plan e così via, quest'affermazione sembra indiscutibile. Tuttavia, si tratta soltanto di un'affermazione descrittiva che non penetra nel cuore del problema. Il problema è che nel mondo cosiddetto neoliberale, nel quale viviamo oggi, non assistiamo semplicemente a un inusitato primato dell'economia, ma a una nuova idea del mondo e della civiltà. Quando, nel 1936, Hayek ha l'illuminazione che il mercato è una specie di mente dirigente che nessun singolo essere umano può possedere, non pensa affatto a una dottrina economica. Crede di aver risolto il problema della conoscenza oggettiva, la questione per eccellenza della modernità. Il "neoliberalismo" non è, insomma, come ha scritto Stephen Metcalf sul Guardian, una dottrina politica ed economica utile ai falliti partiti socialdemocratici per i loro compromessi col capitalismo finanziario. È, o meglio pretende di essere, la scoperta della verità oggettiva dell'intera attività umana. Gli individui competono, ciascuno sulla base della propria parziale conoscenza, dei propri valori o, meglio delle proprie limitate aspettative, ma il risultato della competizione non è lasciato all'arbitrio. Gli individui competono e la mente onnisciente, il mercato, l'ordine naturale e spontaneo, calcola ciò che gli individui non possono afferrare, trasformando i valori in prezzi. Una simile visione, che per il neoliberalismo vale per tutta l'attività umana, implica naturalmente che tutti i valori riflessivi individuali, finché non sono calcolati e trasformati in prezzi dalla mente onnisciente del mercato, siano valori relativi, opinioni, semplici aspettative, preferenze, pregiudizi nel vero senso della parola. Nulla più della rete, del cosiddetto "mercato delle idee" di internet, traduce nella realtà odierna questa concezione del mondo: l'universo dei clic, dei like, dei tweet e dei retweet è il luogo di tutte le preferenze, di tutti i pregiudizi, di tutti i valori relativi possibili che si incrociano ricorsivamente, e che poi il calcolo dei big data, la selezione naturale del mercato trasformano in valori economici, in prezzi.

Basta uno sguardo al destino dei libri in rete per scorgere come la quantità delle preferenze e dei pregiudizi, in altre parole dei clic e dei tweet, sia oggi determinante per stabilire il valore effettivo di un'opera letteraria più di una illuminante recensione di un critico sulle pagine di un prestigioso quotidiano. È la fine delle élite, si dice, la fine delle pretese di valore degli esperti. In realtà, è qualcosa di più serio: è l'idea che l'essere umano, e la sua arte e il suo pensiero, siano pienamente ubbidienti alle leggi naturali, e dunque siano qualcosa di oggettivo, le cui regole possono essere stabilite dall'osservazione. Mi è capitato tempo fa di leggere l'articolo di un pensatore neoliberale che, per comprendere l'arte contemporanea, proponeva di applicare il metodo della selezione naturale darwiniana all'interpretazione delle opere. segue a PAG.II

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