C’è lo scandalo
del macello
nel «Tritacarne»

Le vacche trascinate ancora vive nel macello Italcarni di Ghedi
Le vacche trascinate ancora vive nel macello Italcarni di Ghedi
Le vacche trascinate ancora vive nel macello Italcarni di Ghedi
Le vacche trascinate ancora vive nel macello Italcarni di Ghedi

«Tritacarne», ovvero tutto quello che non avreste mai voluto sapere prima di sedervi a tavola davanti ad una accattivante bistecca al sangue, una ruspante grigliata, un hamburger glamour o un più austero petto di pollo. Ma attenzione: il nuovo libro di Giulia Innocenzi non è un breviario del «vegetarianesimo» post moderno, ma un’inchiesta spietata come sa essere talvolta il business degli allevamenti intensivi. «Tritacarne» esplora le falle nel sistema di controllo della filiera zootecnica che viene spesso sventolato con enfatico e italico orgoglio come modello mondiale da produttori e istituzioni.

IN REALTÀ, il sistema sarebbe teoricamente efficace e perfetto, imperfette sono - per colpa o più spesso per dolo - le figure che dovrebbero farlo funzionare. E a leggere il libro di Giulia Innocenzi - che con rigore didascalico e amara ironia non cerca la compiacenza di vegetariani, vegani o animalisti, ma insegue la verità fatta di atti giudiziari e testimonianze - alla vigilanza «addomesticata», al sistematico maltrattamento di mucche, polli e maiali come pratica aziendale per contenere i costi, pagano dazio i consumatori prima ancora che i capi macellati. Eppure il benessere degli animali andrebbe garantito per legge e agli allevatori converrebbe pure. Metterlo in pratica costa. E allora chi se ne frega: in fondo sono solo animali... Nel «Tritacarne» di Giulia Innocenzi è ineluttabilmente finito lo scandalo Italcarni di Ghedi: nel capitolo riservato al macello emergono retroscena inediti solo in parte svelati dall’inchiesta sfociata nel processo di primo grado giunto in dirittura d’arrivo. Salta fuori, per esempio, che Erika Vergerio, la veterinaria «coraggiosa che ha fatto scattare l’indagine, senza la quale probabilmente le vacche destinate al macello di Ghedi continuerebbero ad essere torturate e la carne venduta ad essere contaminata - scrive Giulia Innocenzi -, si è beccata un procedimento disciplinare da parte della Ast».

IL MOTIVO? Secondo la Ast «ha avuto un comportamento negligente, dal quale è derivato un danno economico e d’immagine della Ast». Il provvedimento è del direttore del distretto sanitario della Bassa. «La stesso - si legge ancora nel libro - che non aveva mai preso provvedimenti nei confronti dei veterinari chiamati a vigilare sulla Italcarni e anzi, in una lettera, aveva difeso il funzionario finito ora a processo, intervenuto nelle questioni del mattatoio di Ghedi solo per un interessamento tecnico e scientifico».

IL VETERINARIO imputato Mario Pavesi «è ancora in servizio nella Ats, che lo ha solo trasferito in un altro... macello». Nel libro emergono altri retroscena: l’appartamento di proprietà del titolare di Italcarni ceduto in uso ad uno dei veterinari chiamati a controllare le procedure di macellazione, incarichi di consulenza affidati dall’azienda di Ghedi a un dipendente in pensione della Ats, che per legge non avrebbe potuto rivestire quell’incarico. «Tritacarne» ricostruisce anche le fasi del sequestro del mattatoio. «Il giorno in cui la procura manda l’ispezione, a controllare il macello per conto dell’Asl c’è Pavesi. In mezzo alla piazzola c’è una mucca viva da macellare. Le forze dell’ordine chiedono di svolgere le attività «come se non ci fossero». Il personale esegue alla lettera le procedure: «legano la zampa con la catena, trascinano la mucca con il muletto, le sparano in mezzo alla piazzola, e la buttano davanti alla linea di macellazione. Tutte pratiche illegali, e tutte svolte davanti al veterinario Pavesi, che non dice niente. Anzi, sembra dirigere le operazioni, dà indicazioni su dove portare la mucca». Scene da «Tritacarne», appunto. N.S.

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