Come un secolo fa l’epidemia cancella il rito

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Un’immagine dell’imponente allestimento delle Quarantore
Un’immagine dell’imponente allestimento delle Quarantore
Un’immagine dell’imponente allestimento delle Quarantore
Un’immagine dell’imponente allestimento delle Quarantore

Paolo Tedeschi Ieri il vaiolo, oggi il Coronavirus. Per la seconda volta nella loro plurisecolare storia, le celebrazioni delle Santa Quarantore a Travagliato non si svolgeranno in presenza dei fedeli. Il rito risalente al Medioevo che fa memoria delle 40 ore in cui il Cristo giacque morto nel sepolcro, venne celebrato in una chiesa deserta anche nel 1920, per fronteggiare l’epidemia di vaiolo. Lo scenografico seicentesco apparato, nel gergo popolare «I scalù», che simboleggia la scala che sale in cielo sognata dal Patriarca Giacobbe, quest’anno non verrà allestito e le celebrazioni religiose iniziate domenica sono state drasticamente ridimensionate. Una scelta obbligata che ha alimentato un profondo rammarico nella comunità a partire dalla ventina di volontari chiamati ogni anno ad allestire l’apparato. «Le stesse limitazioni furono imposte nella primavera del 1902 a causa di un’infezione vaiolosa che colpì proprio a cavallo della settimana santa - conferma Eugenio Falsina nella duplice veste di storico e presidente della Pro loco -. Era la nona volta, per quanto ne sappiamo noi, che il vaiolo colpiva Travagliato e, tutto sommato, se paragonata a quelle precedenti, fu un’infezione leggera dal momento che tra il 4 marzo e il 15 maggio fece “solo” 18 vittime. Il contenimento del numero dei morti fu frutto dell’incisiva campagna di vaccinazione, strumento che purtroppo non abbiamo a disposizione nella battaglia al Coronavirus». Come lasciò scritto l’arciprete don Eugenio Cassaghi, a marzo del 1902 «i vaccinati sono 4.327, ne mancano ancora 600». Anche allora vennero proibiti gli assembramenti, ma di fronte al divieto – si legge ancora nelle memorie dell’arciprete – «il popolo si indignò, lo giudicò un’ingiustizia, un’offesa alla fede, un insulto alla pietà…». I più agitati organizzarono addirittura una caccia all’uomo per punire chi aveva imposto i divieti, ovvero il medico condotto del paese Costanzo Rossi che prudentemente si rese irreperibile. I più facinorosi improvvisarono una manifestazione in piazza scardinando la portella della torre civica per suonare le campane a distesa unitamente a quelle del campanile della parrocchiale. A scatenare la rivolta furono in particolare le limitazioni degli orari di apertura della chiesa e la proibizione di radunarsi nei pressi delle santelle a pregare «mentre lasciano aperte le filande e le osterie», argomentarono i protagonisti della protesta. Polemiche insomma molto simili a quelle scatenate oggi dal decreto del Governo. «GRAZIE AI BUONI uffici dell’arciprete l’insurrezione si placò senza degenerare - racconta Falsina -. Il parroco si dimostrò, da uomo colto e saggio qual’era, più sensato degli amministratori locali e delle autorità provinciali che fra l’altro, lo citarono in giudizio con l’accusa di non avere ottemperato alle disposizioni. Un’accusa che cadde per evidente malanimo nei suoi confronti di chi lo aveva denunciato - conclude il presidente della Pro loco -. Oggi, forti dell’esperienza del passato, siamo più rispettosi delle restrizioni imposte dalla contingenza del momento». Con l’augurio che «tutto andrà bene». •

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