I giudici: «La guerra non è un’esercitazione»

di V.MOR.
Un caccia in  ricognizione durante la missione in Kosovo
Un caccia in ricognizione durante la missione in Kosovo
Un caccia in  ricognizione durante la missione in Kosovo
Un caccia in ricognizione durante la missione in Kosovo

L’addestramento, per quanto rigoroso e qualificato, non è un vaccino infallibile contro i potenziali danni psicologici dei militari impegnati in scenari di guerra. È il principio stabilito dalla corte di Cassazione che ha riconosciuto a un ufficiale dell’aerobase di Ghedi, veterano nelle missioni all’estero, lo status di vittima del dovere per la grave e invalidante sindrome ansiosa depressiva. Al tenente colonnello saranno insomma riconosciute tutte le tutele sanitarie e finanziarie. Il pronunciamento diventa un incoraggiante precedente per i circa 5 mila militari italiani che hanno aperto vertenze simili con il Ministero della Difesa. Il tenente colonnello era in forza al gruppo cacciabombardieri del 6° Stormo di Ghedi. Ai comandi del velivolo PA200 Tornado, ha preso parte alla prima Guerra del Golfo e poi è stato impegnato in numerose missioni internazionali in zone di guerra in Bosnia-Erzegovina e all'aerobase di Mostar e in Kosovo. Il reduce ha poi cominciato a manifestare gravi sintomi di disagio psichiatrico: da qui la richiesta di risarcimento respinta in primo e secondo grado con la stessa motivazione: «L’addestramento e la preparazione mettono al riparo i militari dalle ricadute psicologiche dello svolgimento di missioni che impongono l'uso delle armi e conseguentemente il contatto con la morte o con le mutilazioni da esse provocate». I soldati insomma sono attrezzati per sopportare gli orrori delle guerre. «Il timore di perdere la propria vita, minacciata dai missili terra aria utilizzati dai nemici e lo stress connesso agli spostamenti su terreni minati e alla possibilità di imbattersi in imboscate», secondo i giudici di primo e secondo grado erano «insiti in qualsiasi operazione di pace effettuata in scenari di guerra». Ma la Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza. «Dopo le prime due missioni in guerra l’ufficiale aveva manifestato disagi psichici ed era stata aperta la procedura di valutazione di idoneità al servizio conclusa con giudizio di persistente remissione della pregressa sindrome ansioso depressiva - si legge nelle motivazioni -. Nonostante ciò, negli anni successivi, era stato inviato in altre due missioni di guerra che lo avevano sottoposto a ulteriori intensi stress psichici costringendolo al ricovero per grave infermità psichica». Un ufficiale dell'aeronautica, «anche addetto ai cacciabombardieri - scrivono i giudici -, normalmente è addestrato e si esercita per la difesa dello Stato o per essere inviato in missioni. La partecipazione effettiva e concreta a missioni in territori di guerra è invece evento straordinario che espone il militare a rischi, stress e fatiche non comparabili a quelle proprie delle esercitazioni». •

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