L’aeroporto orfano:
compie vent’anni
e nessuno lo vuole

di William Geroldi
Un aereo cargo sulla pista di Montichiari
Un aereo cargo sulla pista di Montichiari
Un aereo cargo sulla pista di Montichiari
Un aereo cargo sulla pista di Montichiari

Due date, luglio 1997 e marzo 1999: ci sono voluti meno di due anni per deliberare e costruire un aeroporto, lo scalo di Montichiari, tenuto a battesimo il 15 marzo 1999, giusto vent’anni fa, dal presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Riunioni e progetti sviluppati di gran carriera, decisioni assunte in tempi brevissimi, un record per il Belpaese. Peccato però che a quel guizzo non abbiano fatto seguito giorni fulgidi per il ribattezzato «Gabriele D’Annunzio» di Montichiari: conti in rosso, compagnie che si sono succedute con disarmanti staffette, fino all’odierno deserto, interrotto da sparuti voli per il trasporto merci e da qualche volo privato. E meno male che c’è il servizio postale a giustificare la permanenza dell’attività e insieme la speranza che qualcosa possa far partire o meglio ripartire il «D’Annunzio». EPPURE nell’estate del 1997 quando i riflettori si accesero su Montichiari una vera e propria macchina da guerra si mise in moto. Ad accenderla la necessità dell’aeroporto «Catullo» di Verona di chiudere tre mesi a causa dei non più rinviabili lavori per il rifacimento della pista e interventi sui servizi tecnologici. Un’opera non da poco che però doveva prima trovare uno scalo a cui affidare la supplenza per tutti i voli di linea e charter. E la scelta cadde su Montichiari. Il colpo di fulmine si manifestò nell’estate 1997, il 15 luglio, quando nella cittadina della Bassa il consiglio di amministrazione del «Catullo» incontrò i bresciani, capitanati da quelli che sarebbero diventati i timonieri dell’operazione, Franco Bettoni, presidente della Camera di commercio e Andrea Lepidi, presidente della Provincia e l’assessore Guido Galperti nelle vesti di ufficiale di collegamento tra bresciani e veronesi. In quella sede venne dato il via libera alla scelta su Montichiari, 40 miliardi di investimento, 15 stanziati da Provincia e Camera di commercio di Brescia dieci dal Catullo e gli altri quindici dall’aumento di capitale sociale del Catullo. Giocarono un ruolo decisivo nella vicenda coincidenze astrali mai più riviste, a cominciare dalla sintonia politica del centrosinistra in Broletto con la casacca del governo nazionale, l’Ulivo di Prodi. I buoni uffici del sindaco Mino Martinazzoli servirono a conquistare alla causa il ministro della Difesa Nino Andreatta, decisivo per la smilitarizzazione dell’area insieme al generale Mario Arpino, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica. Sul versante dei Trasporti Marcello Panettoni, presidente della Provincia di Perugia, buon amico di Lepidi, e braccio operativo del ministro Claudio Burlando, contribuì a superare gli ostacoli in quel campo; per non dire del ruolo di Antonio Bargone, sottosegretario ai Lavori pubblici, figura molto vicina a D’Alema. Da Brescia, l’assessore Guido Galperti teneva i contatti con Verona, dove l’azione insistente di Massimo Ferro, presidente del «Catullo», poi eletto parlamentare di Forza Italia nel 2001 (è tornato in Parlamento, al Senato, nel marzo 2018 sempre per Berlusconi), chiuse la morsa e aprì la strada alla realizzazione dell’opera. L’AEROPORTO monteclarense prese corpo in appena 200 giorni tra l’estate del 1998 e il marzo 1999; il 15 marzo migliaia di persone affollarono la pista per la cerimonia di inaugurazione. Ma l’entusiasmo ebbe vita breve, nel 2002 nacque la «D’Annunzio» con Catullo socio all’85 per cento e il restante 15 suddiviso tra Provincia di Brescia e Camera di commercio, affidata alla presidenza di Ugo Gussalli Beretta ex presidente degli industriali bresciani e patron dell’omonima fabbrica, ma le difficoltà già bussavano alle porte. Meridiana, Gandalf, Air Bee, Ryan Air, solo per citare alcune compagnie, si sono una dopo l’altra sfilate, volando altrove. Qualche piccola soddisfazione l’ha procurata il settore cargo, ma non certo abbastanza da viverci. Promesse di rilancio annunciate e seguite da puntuali delusioni si sono susseguite fino al 2013 quando la «D’Annunzio» si è fusa nella «Catullo» ed ha cessato di vivere di luce propria. Ai veronesi è stata assegnata la concessione quarantennale per la gestione, gelando le speranze dei bresciani ormai ridotti a percentuali di testimonianze nella società scaligera, 2 per cento. Il resto è storia recente, sempre la stessa trama a dire il vero: il racconto di un’impresa decollata con grandi ambizioni, ben presto naufragate. E scommettere sulla rinascita non è facile. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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