Rifiuti truccati,
obbligo di firma
e sequestri

di Paolo Cittadini
I rifiuti erano «ripuliti» solo sulla carta: dopo il transito in un impianto di Mantova lo smaltimento illecito
I rifiuti erano «ripuliti» solo sulla carta: dopo il transito in un impianto di Mantova lo smaltimento illecito
I rifiuti erano «ripuliti» solo sulla carta: dopo il transito in un impianto di Mantova lo smaltimento illecito
I rifiuti erano «ripuliti» solo sulla carta: dopo il transito in un impianto di Mantova lo smaltimento illecito

Due misure cautelari e soprattutto sei milioni di euro, tra beni mobili e non, messi sotto sequestro. La Procura di Brescia ha ottenuto dall'ufficio gip la misura dell'obbligo di firma per un 58enne di Erbusco e per un 49enne di Revere, in provincia di Mantova. L'accusa è traffico di rifiuti industriale, nei loro confronti e delle società coinvolte nell'indagine della Dda di Brescia. IL BLITZ delle scorse ore ha inoltre permesso agli inquirenti di mettere le mani su un vero e proprio tesoretto. Infatti dal gip di Brescia è stato disposto il sequestro preventivo di numerosi rapporti finanziari, immobili, compendi aziendali e quote delle società coinvolte nelle indagini, con sedi legali nelle province di Brescia, Mantova e Cremona, per un valore complessivo stimato in circa 6 milioni di euro. Ad eseguire le misure sono stati gli uomini della Dia, del gruppo Forestale dei carabinieri e della polizia giudiziaria della Procura che nelle scorse ore hanno notificato ai due imprenditori e alle aziende coinvolte la misura cautelare emessa dal gip. Le indagini nel Bresciano e nel Mantovano erano iniziate nel 2016, nell’ambito della operazione «Similargilla», scoprendo un traffico di rifiuti industriali che, attraverso la compilazione di documentazione falsa, venivano illecitamente smaltiti sotto la falsa veste di prodotti End-of-Waste, ovvero derivanti dal processo di recupero. Nello specifico, i rifiuti transitavano prima in un impianto ubicato in provincia di Mantova per poi finire illecitamente smaltiti in due località bresciane il cui impiego era già emerso nel corso dell'inchiesta del 2016: sono la cava Inferno di Ghedi e un sito di Rezzato a cui il Comune aveva concesso un’autorizzazione relativa alla rinaturalizzazione, con lo scopo di riportarlo ad uso agricolo, impiegando per il riempimento il materiale preveniente da una delle società coinvolte. «Le modalità di perpetrazione del reato da parte delle ditte interessate dall’indagine si inquadrano nel fenomeno della cosiddetta finta economia circolare - sottolinea una nota del gruppo Forestale dei carabinieri di Brescia - il cliché a cui risponde è ben collaudato: una impresa si offre sul mercato per fare attività di recupero di rifiuti, che riceve da molteplici conferitori. Invece di trasformarli in un non rifiuto o “End of Waste”, o cessato da rifiuto, li cede senza aver completato il recupero godendo di un ingiusto risparmio di costi a scapito dei principi di tutela e salvaguardia dell’ambiente». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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