«Vogliamo giustizia per Klevis ucciso per salvare un’amica»

di Flavio Marcolini
I soccorsi al 15enne alla stazione ferroviaria di Ponte San Marco
I soccorsi al 15enne alla stazione ferroviaria di Ponte San Marco
I soccorsi al 15enne alla stazione ferroviaria di Ponte San Marco
I soccorsi al 15enne alla stazione ferroviaria di Ponte San Marco

Una tragedia che rischia di essere dimenticata. È quella che il 27 giugno 2016 a Ponte San Marco costò la vita al 15enne Klevis Seferaj, travolto da un treno-merci nella stazione ferroviaria di Ponte San Marco. La dinamica è controversa: per la famiglia del giovane la responsabilità è di Ferrovie dello Stato, mentre per Rfi è di Klevis. E intanto il dolore si trascina da oltre quattro anni, per un dramma che è approdato anche nelle aule di giustizia. Il verdetto dell’ultimo giudizio in appello ha ribaltato la sentenza di primo grado del 15 settembre scorso impugnata dalla famiglia Seferaj contro Rfi. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, il ragazzino sarebbe stato urtato dal convoglio mentre cercava di mettere in salvo un’amica che camminava sulla massicciata. I genitori del giovane, Nikoll e Feride, sostengono che la responsabilità sia di Rfi dal momento che - come si legge nelle memoria prodotta dal loro legale, «la stazione dove treni non effettuavano fermate e transitavano ad elevata velocità, era da tempo incustodita e accessibile da chiunque e a qualsiasi ora della giornata». Lo recinzione dello scalo che si trova in pieno centro abitato, accanto all’oratorio e al campo da calcio «era praticamente inesistente». Questa tesi è stata condivisa dal giudice che lo scorso 15 settembre alla Corte d’Appello di Brescia aveva emanato la sentenza a favore della famiglia Seferaj, ritenendo di liquidare la somma di 248 mila euro in favore di ciascuno dei genitori e 160mila euro in favore di ciascuna delle due sorelle. Somme che peraltro il padre aveva già pensato di investire nella realizzazione di un monumento pubblico per celebrare l’eroico atto del figlio. Ma la sentenza è stata impugnata dalle Ferrovie dello Stato. NIKOLL E FERIDE resisteranno in giudizio, convinti che «Klevis ha perso la vita per mancanza di sicurezza, per l’asseza di un custode all’interno della stazione priva di telecamere. Ha perso la vita per la mancanza di quella voce metallica che avrebbe dovuto avvisare che stava arrivando un treno. E poi il macchinista, che nemmeno si è accorto dei ragazzi che sostavano sui binari nonostante il cielo fosse ancora chiaro e che invece in sede di processo penale ha dichiarato che fosse già calato il buio». I genitori della vittima si chiedono: «Che cosa stava facendo il macchinista con il collega per non accorgersi di quanto successo? Nessun controllo sullo stato di attenzione è stato fatto sui macchinisti in servizio quella sera, anzi, più volte sono stati cambiati i fatti esposti, che secondo i macchinisti e il personale delle ferrovie si riduceva ad una prova di coraggio tra ragazzi». Nikoll e Feride incalzano: «Grazie ai testimoni, grazie al giudice nella sezione civile, la verità era venuta alla luce. Klevis era morto per salvare la vita all’amica. Con il suo gesto non ha solo salvato la ragazzina che faceva parte del gruppo, ma anche tutti quei giovani di oggi immaturi rischiano la vita». Nikoll si dice «stanco, arrabbiato e addolorato, perché se la stazione non si fosse trovata ad allora in quelle condizioni - assenza di recinzione, custode, cartelli informativi, voce registrata per avvertire i presenti, e altre migliorie mai apportate negli anni - mio figlio sarebbe ancora vivo e chiunque fosse entrato lì, se ci fossero state almeno le telecamere di videosorveglianza, sarebbe stato ripreso». •

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