IL RICORDO

L'ultima intervista del Cavaliere a Bresciaoggi: «Per l'Italia serve una rivoluzione liberale»

di Giuseppe Spatola
Le parole del leader di Forza Italia in occasione dell'ultima campagna per le elezioni politiche: «Nessun veto su Meloni a Palazzo Chigi. Italia in ritardo sull'energia a causa dei veti ideologici della sinistra. Da rivalutare il nucleare»
Silvio Berlusconi in un'immagine di qualche giorno fa
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Silvio Berlusconi in un'immagine di qualche giorno fa
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Silvio Berlusconi si ricandida al Senato e non mette veti alle ambizioni di Giorgia Meloni per Palazzo Chigi, convinto che «si dimostrerà adeguata al difficile compito» ma che sarà Sergio Mattarella a indicare il nome del Premier in base ai voti. Mentre sulla crisi energetica rilancia il ruolo dell’Europa come garante dei prezzi equi e quello dell’Italia penalizzata dai «no» ideologici dei «soliti noti». Così il Cavaliere torna vestendo il ruolo di «patriarca» della coalizione nell’intento di rafforzare l’immagine di un centrodestra unito che si avvicina al 25 settembre in linea con la tabella di marcia e più spedito degli avversari.

Presidente, è sceso in campo per l’ennesima campagna elettorale. Quanto può valere in più la sua presenza per il centrodestra e che analogie vede oggi col suo discorso agli italiani del ’94?

Ovviamente il mondo è profondamente cambiato, dal 1994 a oggi. Basta pensare che la rete digitale era agli albori e i social media non esistevano. Solo due cose non sono cambiate, in trent’anni: l’arretratezza culturale della sinistra italiana, statalista e giustizialista, attaccata al potere, e il nostro entusiasmo, la nostra convinzione profonda che l’Italia abbia bisogno di una rivoluzione liberale, permeata dei valori cristiani. Sarebbe questo il nuovo miracolo italiano, che cercavo nel 1994 e che continuo a ritenere possibile oggi. 

Una campagna estiva non c’è mai stata nella storia della Repubblica, come affronterà questo mese?

Lavorando, come sempre. Mi rivolgerò soprattutto a quel gran numero di elettori che si dice orientato a non andare a votare. A oggi sono quasi il 50% degli italiani. Sono elettori insoddisfatti, e li capisco bene, ma se davvero non votassero, tradirebbero i propri interessi, quelli della propria famiglia e quelli del Paese. L’unica arma che hanno per cambiare le cose è votare, scegliendo chi ha dimostrato di essere capace di conseguire davvero gli obbiettivi che si è proposto.

In questi mesi si è scritto di rapporti tesi all’interno dei partiti del centrodestra. Ora sembra tornato il sereno. Resta aperto il tema di chi farà il premier in caso di vittoria. Lei sarebbe d’accordo se fosse Giorgia Meloni?

Abbiamo concordato, e lo ribadisco, che la proposta al Capo dello Stato del nome del premier spetterà a chi ha ottenuto più voti. Ma per gli italiani più di questo è importante sapere cosa faremo, una volta al governo.

Ci può dare qualche anticipazione su chi proporrà come ministri se il centrodestra vincerà?

Da anni sto dicendo che questo Paese ha bisogno di uno sforzo collettivo, che coinvolga non solo la politica, ma il mondo delle imprese, del lavoro, dell’università, della ricerca. È un’esigenza che si poneva quando abbiamo proposto la nascita del governo Draghi e non abbiamo cambiato idea.

Il programma di Forza Italia è molto ampio, dall’abbassare le tasse alla maggiore sicurezza, ma quali sono secondo lei le priorità?

Sono molto chiare: abbassare le tasse introducendo la flat tax, combattere la burocrazia con l’abolizione delle autorizzazioni preventive per chi vuole avviare un’attività, anche edilizia; una giustizia più giusta, riducendo i tempi dei processi, attuando come voleva Falcone la separazione delle carriere, rendendo inappellabili le sentenze di assoluzione. E poi difendere i più deboli: i pensionati e i disabili, innalzando le pensioni per tutti ad almeno 1000 euro per 13 mensilità, e ancora sostenere i giovani, abolendo tasse e contributi per diversi anni a chi offre loro un lavoro stabile e uno stipendio decoroso.

La flat tax è un altro tema che divide profondamente il vostro programma da quello del centrosinistra. Perché è utile farla e cosa risponde a chi dice che si tratta di una misura insostenibile?

Lei ha ragione: la grande differenza fra noi e la sinistra è che per loro «le tasse sono belle», come ebbe l’onestà di riconoscere un loro ministro, per noi sono un male necessario da ridurre al minimo. La flat tax realizza questo obiettivo senza danneggiare i conti dello Stato. Riduce le imposte a tutti, ma soprattutto ai redditi medio-bassi, perché i primi 13.000 euro annui non saranno tassati. Determina un aumento dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione, e riduce quindi la necessità di spesa sociale. Rende più difficile e meno conveniente l’evasione e l’elusione. Il risultato di tutto questo è che non solo le persone stanno meglio, ma lo Stato incassa di più. Lo insegna l’esperienza di tanti paesi stranieri, per esempio dell’America di Reagan che vide raddoppiare i suoi introiti in pochi anni. Il fatto che la sinistra non lo capisca è una ulteriore prova di quel ritardo culturale del quale parlavo al principio.

Una delle conseguenze della guerra è l’aumento dei prezzi dell’energia. Per abbassare il costo delle bollette sono stati tassati gli extraprofitti delle aziende. È giusto o bisogna fare di più? Pensa che un tetto europeo servirebbe a calmierare i prezzi ed sostenere le famiglie?

Da anni sostengo che solo l’Europa unita, su temi come la politica estera e di difesa, ma anche sull’energia, può far valere le sue ragioni e i suoi interessi. Questa crisi trova l’Italia impreparata per colpa ancora una volta della sinistra e dei suoi “no” ideologici alle infrastrutture necessarie: i rigassificatori, i termovalorizzatori, persino le energie rinnovabili e soprattutto il nucleare. Certamente bisogna fare di più nell’immediato per aiutare famiglie e imprese in difficoltà, ma soprattutto bisogna cambiare politiche comprendendo che energia e ambiente non sono in conflitto. È il più urgente degli impegni per il nostro governo.

Molti partiti sbandierano nel loro programma la famosa agenda Draghi. Lei che ne pensa? È solo di una manovra elettorale?

Più che altro mi sembra uno dei tanti slogan del teatrino della politica. Gli italiani non ci chiedono astratti richiami a un’agenda che non esiste, ci chiedono cosa vogliamo fare per il paese. Le tante cose di buono che ha fatto il governo uscente noi le continueremo. 

Come si combatte il sovranismo da destra, all’interno di una coalizione dove il sovranismo non manca?

La nostra coalizione non ha nulla a che fare con il sovranismo becero e irresponsabile che esiste in altri paesi europei. Anzi, l’esistenza di un centrodestra vasto come quello che io ho creato in Italia dal 1994 è stata il migliore antidoto al proliferare di fenomeni che in Italia proprio per questo sono rimasti marginali.

Inevitabile chiederle un commento sullo strappo di Mariastella Gelmini. È rimasto deluso più dall’addio o dai modi con cui si è consumato?

Non ho molto da dire, su questo. Al di là della delusione personale, mi ha sorpreso che una persona che ritenevo razionale si sia gettata in un’avventura politica senza prospettive e senza futuro. Per il resto, dovrà vedersela con la sua coscienza e con i suoi elettori, non con me. Del resto la gran parte degli azzurri bresciani, militanti, dirigenti ed eletti, è rimasta con noi, a cominciare dal nostro bravo senatore Adriano Paroli, che sta gestendo Forza Italia in questa fase delicata.

Ora su Brescia punta molto su Maurizio Casasco, presidente Confapi. Anche questo indica la ritrovata attenzione alle piccole e medie aziende che sono spina dorsale del sistema Italia?

Non è un’attenzione «ritrovata». Le ragioni e i princìpi dell’impresa e del lavoro sono da sempre le ragioni e i princìpi di Forza Italia. Io stesso non potrei mai mettere da parte il fatto di essere stato per molto tempo un imprenditore. Considero l’adesione di Maurizio Casasco molto importante, per Brescia e non solo, perché rafforza ancor di più il legame con il mondo dell’impresa, così importante nel vostro territorio.

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