L'INTERVISTA

Boeri: "Brescia, il Pgt verde è la strada giusta"

di Eugenio Barboglio
L'archistar: "Bene puntare sul consumo di suolo zero. Servizi a 15 minuti, e torniamo a vivere in una logica di prossimità"
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Stefano Boeri, architetto e urbanista, è anche da oltre un lustro presidente della Triennale di Milano. È suo, sul lago d’Iseo, il progetto di rigenerazione dell’area dismessa di Montecolino «un luogo dal fascino non comune, con manufatti di valore storico da recuperare introducendo una dimensione di contemporaneità».

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Nel 2017 Boeri con il sindaco Del Bono aveva visitato l’area di Porta Milano, pure interessata da un’operazione di rigenerazione finanziata con il bando ministeriale. Lui era stato contattato anche da Mantova per gestire il rilancio di un’area analoga, «ma sia con Mantova che con Brescia quei primi contatti non hanno avuto seguito».

Architetto, Brescia considera un vanto avere un Piano di governo del territorio a consumo di suolo zero. Non crede che possa essere un limite alla crescita?

«Assolutamente no, si possono perseguire prospettive espansive e di densificazione sostituendo i molti edifici obsoleti all’interno delle città. È necessario mantenere intatto il patrimonio forestale mondiale, ma anche aumentare la presenza di verde nelle città e in tutti gli agglomerati urbani, con le diverse strategie di forestazione urbana che siamo oggi in grado di mettere in atto, dai tetti verdi ai corridoi ecologici. Da queste sue grandi strategie di rigenerazione nasce il concetto di “città arcipelago“: città dove il verde (come il mare) percorre e unisce la varietà dei borghi/isole, ciascuno dotato di una sua autonomia e di un altro mix di attività».

Brescia è a 90 km da Milano, ha qualcosa da guadagnarci ad essere satellite?

«La Fondazione Brescia Musei che ha scoperto una formidabile e sorprendente valenza storico-artistica, la Brescia come città palinsesto di altre città di epoche diverse (penso alla riscoperta della Brescia romana, alla Vittoria Alata, alla Basilica), la Brescia dell’arte contemporanea di galleristi come Minini, artisti come Vezzoli, collezionisti come Beretta, ha oggi le risorse culturali - le energie economiche le ha sempre avute- per giocare una partita autonoma nella competizione tra le città medie e grandi italiane ed europee, per togliersi definitivamente dalle spalle la polvere di un antico seppur nobile pregiudizio come città del tondino, dell’acciaio, della meccanica. Questa nuova Brescia sa come impostare un rapporto di reciprocità competitiva con Milano. Che Milano, penso e mi auguro, saprà accettare».

Per accedere ai finanziamenti europei, spesso, anche a Brescia, è il caso del museo di Scienze naturali, si rinuncia a concorsi di idee optando per studi di fattibilità. Non crede si perda qualcosa?

«Non voglio entrare nel caso specifico che non conosco. Di certo nel caso di opere pubbliche importanti, come musei, sarebbe meglio mettere in concorrenza più idee spesso stimolanti. Ma capisco che le procedure di accesso ai fondi Pnrr siano un vincolo». Lei in quel 2017 tenne una relazione sul tema della città futura, ma allora il Covid non si sapeva ancora cosa fosse. «L’esperienza del Covid-19 ci ha fatto capire che stiamo probabilmente vivendo la conclusione di un lungo ciclo di vita della città moderna, costruita a partire da due secoli fa per funzionare attorno ad alcuni epicentri di vita collettiva sincronizzata sugli orari casa-lavoro: le fabbriche, i mercati generali, le stazioni ferroviarie, gli stadi».

Cosa dovrà cambiare?

«Dobbiamo progettare quartieri urbani flessibili e adattabili, dove la tripartizione spazio-temporale tra lavoro, residenza e tempo libero sia sostituita da una compresenza di tutte le funzioni vitali in tutti gli spazi di vita».

Un cambiamento anche nel modo di vivere?

«Penso che sia importante tornare a vivere gli spazi seguendo la logica di prossimità che è tipica dei centri urbani di piccole dimensioni. Non intendo proporre il modello di un borgo medioevale all’interno delle grandi città contemporanee, quanto piuttosto ridefinire il concetto di “borgo urbano”, nel senso di una zona con un’elevata autonomia di funzioni che permetta a ciascuno di poter accedere al commercio minuto, alla scuola, alle istituzioni culturali, ai servizi sanitari entro un raggio temporale di 15-20 minuti. A piedi o al massimo in bicicletta».

Lei crede che questo modello di “città per quartieri“, di “città dei 15 minuti“ basti a rispondere alla domanda di un riequilibrio generale delle energie urbane che la pandemia e la crisi climatica pongono a tutti noi?

«Dobbiamo comunque intervenire e mettere in atto politiche urgenti. In primo luogo, verso la transizione energetica. È arrivato il momento di utilizzare davvero le energie rinnovabili e nel modo più ampio, muovendoci verso l’autosufficienza energetica di case e città; città dove ogni edificio funziona come una centrale di energia pulita. Dobbiamo cambiare la città, se vogliamo che continui ad essere l’habitat primario della nostra specie».•.

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