Caos scuola, porte chiuse per i figli dei sanitari e delle forze dell’ordine

di Magda Biglia
Ancora caos sugli accessi a scuola: stop ai figli di operatori sanitari e di lavoratori delle forze dell’ordine
Ancora caos sugli accessi a scuola: stop ai figli di operatori sanitari e di lavoratori delle forze dell’ordine
Ancora caos sugli accessi a scuola: stop ai figli di operatori sanitari e di lavoratori delle forze dell’ordine
Ancora caos sugli accessi a scuola: stop ai figli di operatori sanitari e di lavoratori delle forze dell’ordine

Le scuole non sono più aperte per i figli dei sanitari, né per i figli delle forze dell’ordine, né di qualsiasi altra categoria o servizio essenziale, ma solo per gli alunni con certificazione di bisogni educativi speciali. Il problema, che era stato fortemente sentito e dibattuto a Brescia, diventata arancione rinforzato per prima in Italia, nel fine settimana ha investito in pratica quasi tutto il Paese, dove sei milioni di studenti sono in dad. Ed è stata subito bufera, a dimostrazione che, cambiano ministri, assessori regionali, ma la scuola è luogo difficilissimo da governare e dove il titolo quinto dei poteri decentrati finisce per ingarbugliarsi. Fin da subito da un lato, anche a Brescia, si erano fatti avanti genitori di quelli che si riteneva fossero servizi essenziali, facendo riferimento (erroneamente?) alla lista dei Codici Ateco che include dal primo lockdown le attività che rimangono funzionanti. Ma lì ci sono pure tabaccai e tintorie, edicolanti. Fin da subito da parte degli addetti ai lavori si era sollevata molta perplessità sul numero esorbitante di presenze che si sarebbe venuto a creare, con tutti gli insegnanti chiamati in classe mentre stanno facendo anche dad. Per due volte l’Associazione nazionale presidi aveva chiesto chiarimenti alla prefettura e all’Ust bresciani. Altra richiesta di chiarimenti era partita da Anci e da sindaci lombardi quando anche le altre province si erano colorate di scuro. Ma la scuola stavolta, non bastasse il caos perenne, è finita anche negli ingranaggi della politica e degli avvicendamenti. Il capo dipartimento dell’ex ministro Azzolina, Max Bruschi, il 4 marzo, poco prima di passare le consegne al suo successore, aveva diramato una nota, la 343, in cui si parlava di accesso agli istituti, «oltre che per i laboratori, per i figli di personale sanitario o di altri lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione». Dopo le polemiche, ieri, nell’interregno in attesa del nuovo dirigente, il capo di Gabinetto Luigi Fiorentino ha ribaltato il tutto scrivendo solo di «alunni con disabilità, Dsa e Bes», rimandando tuttavia la palla, come da consueto rimpallo, alle singole Regioni. E la Lombardia ha precisato, con chiarimento datato 8 marzo riportando pari pari il nuovo dettato romano: si spalanca il cancello, «qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica di alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali». Punto. Con buona pace dei ragazzini che già hanno cominciato a frequentare in alcuni Comprensivi e materne. Che fare? Qualche dirigente ha già avvisato, «da subito a casa gli impossibilitati». È una bella responsabilità andare controcorrente, in caso di conseguenze. «È una scelta decisa a livello ministeriale. Niente impedisce che chi ha avviato progetti li porti avanti, non è espresso alcun divieto, come prima non c’era obbligo, ma la nota regionale appare chiara» commenta Giuseppe Bonelli, dirigente dell’Ust. Il problema non è così semplice né per gli studenti sballottati né per i genitori che si trovano di nuovo dall’oggi al domani a dover gestire i figli piccoli a casa senza la possibilità, come nel caso dei genitori impiegati nella Sanità, magari entrambi, di poter prendere un congedo in questo momento di emergenza. I presidi del primo ciclo, come delle superiori, colti di sorpresa nel Bresciano dove la polemica stava sedimentando, dovranno riorganizzarsi. Nella faccenda è coinvolto pure l’assessorato all’Istruzione del Comune di Brescia che ha aperto 5 materne, concentrando in nuove bolle i bes e i figli di sanitari e forze dell’ordine, un centinaio. «Domani (oggi per chi legge) continuiamo come da giovedì scorso. Poi ci metteremo in contatto con l’Ufficio scolastico per coordinarci» afferma l’assessore Capra.•.

Suggerimenti