Cooperative più grandi pronte per le nuove sfide

Il presidente Marco Menni e il direttore Federico Gorini
Il presidente Marco Menni e il direttore Federico Gorini
Il presidente Marco Menni e il direttore Federico Gorini
Il presidente Marco Menni e il direttore Federico Gorini

Magda Biglia Più occupati, più fatturato, ma meno cooperative in seguito ai processi di aggregazione. È questo l’identikit dell’attività di Confcooperative fornito ieri dal presidente Marco Menni e dal direttore Federico Gorini. Presentando i dati del bilancio economico del 2016 sono stati presentati anche i primi dati relativi al 2017. Un’occasione anche per annunciare le scadenze della prossima primavera che vede in agenda le assemblee elettive delle federazioni. Si comincia il 23 febbraio con il sociale. Venendo ai numeri hanno superato quota 20mila i lavoratori delle società aderenti alla Confcooperative (esclusi quelli delle Bcc), e quota 150mila i soci, mentre è vicino ai 2 miliardi e mezzo il fatturato aggregato; anche il capitale sociale e il patrimonio netto sono in crescita, a dimostrazione della fase di ripresa rispetto a quando, per sopravvivere, si doveva ricorrere agli utili messi da parte. Solo il numero delle coop è in calo: erano 577 nel 2012, 546 nel 2016, sono scese a 543 nel 2017. «A parte il settore casa legato alla crisi dell’edilizia, la riduzione del numero di cooperative è conseguenza della necessità di accrescere le dimensioni delle imprese attraverso processi di aggregazione per fare fronte alle nuove sfide», spiega Menni. Sfide che per il sistema non sono solo tecnologiche, anzi. «Da un lato, dopo l’ubriacatura della globalizzazione cresce il bisogno di ritrovare identità, nasce l’idea delle cooperative di comunità nei piccoli paesi; dall’altro l’invecchiamento della popolazione e il connubio del socio-sanitario richiedono nuovi servizi. Questo è un nostro spazio, cercando di non essere però marginali né marginalizzati», sottolinea. Nella direzione di un rafforzamento va anche l’alleanza delle tre confederazioni, Aci (Confcooperative, Lega Coop, Agci), attiva però solo a livello nazionale nei rapporti con le istituzioni pubbliche, arenata da almeno due anni nei territori per le troppe disparità. Il settore che rimane trainante è la solidarietà col no profit, che rappresenta il 50 per cento delle coop e la maggioranza degli addetti, seguito dal settore lavoro e servizi, unico a essere in aumento nel 2017, passando da 88 cooperative del 2016 a 91. I ricavi invece, per quasi la metà, vengono più dal settore sanitario, che comprende anche le farmacie che danno un alto valore aggiunto. Oltre la metà delle cooperative, che sono per lo più piccole - solo 12 vanno oltre i 250 occupati - ha più di vent’anni, ce ne sono anche 11 che hanno oltrepassato un secolo; però una su quattro ha meno di dieci anni, a testimoniare il ricambio. SONO NUOVE le cooperative di medici, ad esempio, o quelle che nascono da fallimenti aziendali, due nel 2016. Sono nuove e aumenteranno le cooperative di comunità, multidisciplinari, come quella che si sta preparando a Berzo Demo, utili a mantenere i legami sociali in paesini dove scompaiono negozi e servizi essenziali. Per l’88 per cento i lavoratori sono subordinati, e nel 47 per cento dei casi anche soci. Il 64 per cento sono donne e il 59 per cento ha più di quarant’anni; il 58 per cento è part time. Cresce il livello di istruzione. I laureati restano poco più del 20 per cento, ma i diplomati salgono al 44 per cento. Gli stranieri nelle cooperative non sono molti, il 7 per cento, occupati soprattutto nella logistica. •

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