Dalla spagnola al colera: e ora torna la storia

Nell’era del Coronavirus a tutti noi sembra di essere ripiombati in epoche che si pensavano ormai relegate fra le pagine dei libri di storia. Basta invece fare una piccola ricerca per rendersi conto di come ciò che stiamo vivendo noi oggi fu vissuto sicuramente con meno informazioni e minori conoscenze mediche dai nostri nonni o bisnonni. Penso che sia comune per chi è nato fra gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso ricordare quanto raccontavano i nostri nonni riguardo alla terribile epidemia di «febbre spagnola» che colpì milioni di persone fra il 1918 e il 1919. Questa epidemia interessò infatti, secondo i dati ufficiali circa 500 milioni di individui e nel corso di tre anni causò la morte di circa 50 milioni, anche se alcuni ipotizzano il doppio. Questo virus era completamente nuovo per l’umanità e fu per questo che causò un così alto numero di morti interessando un’area geografica che andava dall’Europa all’Australia anche a causa della presenza in Europa di soldati specialmente inglesi provenienti da ogni continente. Scarsi sono i dati sulla diffusione dell’epidemia a livello locale poiché non tutti denunciarono le morti avvenute. L’Ufficio di igiene il 1° ottobre 1918 annotava la presenza di 573 casi dei quali 48 mortali. Il quotidiano La Sentinella il 2 ottobre scriveva: «Purtroppo l’epidemia c’è; non è possibile sottrarvisi, né vi sono rimedi speciali …». Lo scoppio dell’infezione portò a riunioni in prefettura, alla pubblicazione di circolari da parte degli uffici sanitari, vi fu il divieto a recarsi ai cimiteri il 2 novembre, lo stesso vescovo di Brescia Giacinto Gaggia il 27 ottobre indirizzò una lettera alla diocesi; tutte azioni che gettarono nel panico la popolazione bresciana. La «spagnola» iniziò a diminuire nel novembre del 1918 e scomparve definitivamente nei primi mesi dell’anno successivo. QUESTA NON FU PERÒ l’unica epidemia che interessò le nostre contrade; senza tornare ai poco conosciuti episodi dei primi secoli dopo Cristo e tralasciando anche la famosa peste di manzoniana memoria, vorrei qui ricordare l’epidemia di colera che colpì il territorio bresciano, ma non solo, nel corso del XIX secolo. L’epidemia si diffuse in modo virulento a partire dal 1836, anche se le prime avvisaglie vi erano state già nel 1831 quando le autorità emanarono provvedimenti sanitari molto severi. Tali misure non ebbero però l’esito sperato. Il colera si ripresentò nel 1835 a Genova e in poco tempo si diffuse in tutto il nord Italia. A Brescia si ebbe il primo caso nell’aprile del 1836 proveniente dalla Bergamasca e dopo aver colpito un numero limitato di persone si manifestò pesantemente nel manicomio femminile cittadino nel mese di maggio, mietendo vittime sino al luglio del medesimo anno quando l’epidemia iniziò a scomparire. Nel bresciano i casi di colera furono in totale circa 21.000 con una mortalità di quasi 10.000 persone; in città si ebbero 3.219 casi e la morte di 1.613 persone. Fra coloro che perirono a causa del morbo vi fu il generale napoleonico Giuseppe Lechi. Epidemie di colera si ebbero anche nel 1849 e nel 1855 quando si ebbero poco più di mille morti fra i quali il podestà della città Luigi Maggi e il letterato Giuseppe Nicolini. A più riprese la malattia interessò il territorio bresciano e solamente nel secondo decennio del XX secolo fu debellata. *Presidente del Comitato di Brescia dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano

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