INTERVISTA DELLA DOMENICA

Diego Abatantuono: «Cari bresciani, uniamoci a difesa dell'ambiente. Cominciamo dall'acqua»

di Gian Paolo Laffranchi
Un nonno eccezziunale veramente: Michelangelo sfoglia il suo libro, Matilde e Maria Carlotta con mamma MartaDiego Abatantuono felice nella sua dimensione di nonno
Un nonno eccezziunale veramente: Michelangelo sfoglia il suo libro, Matilde e Maria Carlotta con mamma MartaDiego Abatantuono felice nella sua dimensione di nonno
Abatantuono, foto di un attore simbolo: i film, il libro, l'amicizia con Villaggio

Due vite non gli potevano bastare. Prima il comico irresistibile. Poi l’attore da Oscar. Adesso, con una carriera di successo ormai consolidata e più nulla da dimostrare, può dedicarsi a una nuova sfida. Quella che vale il futuro (non solo il suo). «Mi sono stancato di vedere che a nessuno, se non a pochi, sembra interessare il destino del nostro pianeta – scuote la testa Diego Abatantuono -. Tutto finirà e scompariremo tutti, ma fino ad allora sulla Terra dovremo starci, e la sorte di vivere qui toccherà a generazioni e generazioni a venire. A me sta a cuore quello che sta succedendo e succederà. L’ecologia è diventata una missione per me, ma non dovrebbe esserlo solo per me». E quindi, ecco nascere un piano di battaglia che vuole andare molto al di là dei semplici buoni propositi. Un progetto condiviso ora con Bresciaoggi - LEGGI QUI L'EDITORIALE -, con l’obiettivo di trasformarlo presto in qualcosa di concreto magari con l’aiuto di tanti bresciani di buona volontà. «Quello che cerco – spiega - sono persone dotate di sensibilità autentica: menti evolute che vogliano dare una possibilità al nostro futuro e unirsi per formare una società, contribuendo ognuno secondo i propri mezzi alle finalità che ci saremo posti».

A chi si sta rivolgendo?
Innanzitutto a chi ha una forte visibilità: attori e registi, atleti e rockstar. Personaggi in grado di coinvolgere molte altre persone a loro volta. Ma anche industriali, imprenditori... e naturalmente a chiunque sia davvero interessato, disposto a investire in quella che non vuole limitarsi ad essere un’opera di beneficenza. Tutt’altro.

Cos’ha in mente?
Io credo che si debbano perseguire due scopi: desalinizzare l’acqua e ridurne le perdite in maniera ingente. Sviluppare una tecnologia per la differenziazione ristrutturando gli acquedotti. Servono fondi per finanziare interventi e studi, per progredire e affrontare i problemi in tempi relativamente brevi. Non possiamo pensare che tutto questo nasca da sé o arrivi dall’alto, servono iniziative private per muovere le cose e ognuno deve fare la sua parte. Io lo penso da tempo, è una cosa che mi fa perdere il sonno. Penso ai nostri giovani, ai figli e ai nipoti. Qua tutti fanno festa se c’è il sole, anche in televisione è un continuo invito a passare l’estate in spiaggia, in allegria, felici di abbronzarsi. Non si è capito che invece si dovrebbe sorridere quando piove. Bisogna cambiare mentalità tutti quanti.

Per esempio?
Acquistare meno caccia torpedinieri e più canadair.

Lei ha un legame con questa città per ragioni di famiglia: sua figlia Marta ha sposato Matteo Saccocci, cardiochirurgo alla Poliambulanza. Ha avuto modo di conoscere Brescia? Sì. Non è la città che uno citerebbe per prima se gli chiedessero dove vorrebbe vivere in Italia, però quando la frequenti capisci che invece sì, per qualità della vita e civiltà della gente ci si sta benissimo. Certo, un discorso diverso riguarda la qualità dell’aria: di quella i bresciani dovrebbero preoccuparsi. Brescia ha una storia di concretezza, non solo di forza economica; la fama di affrontare i problemi per poi risolverli. Gente sul pezzo, sempre. Spero che possa essere così anche quando si parla di ambiente.

Se così fosse?

Brescia diventerebbe un esempio in Italia. Un simbolo, una città pilota che indica la strada e la percorre per prima. Fare, non parlare: questo serve ora.

Intanto sul versante artistico gli impegni non le mancano: un libro prossimo alla pubblicazione, un film in uscita... Progetti in cui credo molto.

«Si potrebbe andare tutti al mio funerale» è un titolo jannacciano fino al midollo.

Difatti nel mio libro rievoco un periodo storico preciso milanese; il Derby con i suoi grandi talenti sul palco, Cochi e Renato, Enzo Jannacci e Beppe Viola di cui Giorgio Terruzzi, il mio coautore, è il geniale figlio putativo. C'è il riassunto di un'esistenza, compresi gli amici che non ci sono più. Leggerezza e profondità, come dev’essere per me un funerale: il mio sarà una festa, il modo migliore per esorcizzare il trapasso. Vivere e divertirsi, ricordando, è il modo migliore per andare avanti. Noi siamo la vita che viviamo, no? Ora sto nella casa comprata quarant’anni fa, in cui hanno vissuto per vent’anni i miei genitori e che hanno frequentato tutti i miei cari. Queste pareti sono il libro della mia vita. Escludendo Marlon Brando, tutti i personaggi che cito nel libro sono stati realmente qui.

Non è il suo primo libro.
Ormai siamo a cinque. Variano i titoli, ma sono sempre miei racconti di vita. Divertente vedere come nel tempo gli episodi stessi cambino, nella memoria dei vari protagonisti.

Di sicuro non ha avuto da annoiarsi.
E ha rischiato la pelle più alle Maldive che al Giambellino, dov'è cresciuto. Sì, io che venivo da un quartiere in cui molti poi sono finiti male sono riuscito a tirarmi fuori bene, cogliendo tante occasioni, ma fra le microsfighe che ho avuto un giorno ho temuto di venir travolto dall'acqua che vedevo invadere la stanza in cui mi trovato con la famiglia alle Maldive. Mi sono messo a riempire le valigie di Coca Cola per scappare sul tetto, mi è pure venuto il colpo della strega nella fuga..

Alla fine, falso allarme.
Fortunatamente. Sì, decisamente. Ma quella microsfiga a momenti diventava macro. E non soltanto per me.

Lei non ama stare da solo.
No, per niente. E per fortuna ho amici portatori sani di registratore come Gino e Michele, come Giorgio Terruzzi. Ho visto all’opera Enzo Jannacci, un autore che ha toccato le vette di Brel e Prevert. E Cochi e Renato, che hanno cambiato le regole dello spettacolo. Ho avuto la fortuna di essere al posto giusto al momento giusto.

Non crede che il talento l’abbia aiutata?
Ok, ma se faccio questo mestiere è innanzitutto per culo e mi spiego: se non fossi cresciuto al Derby, dove mia madre Rosa era impiegata, ma fossi nato in un paese in cui tutti si dedicano alla pesca, probabilmente sarei il pescatore più spiritoso... Sinceramente preferisco pescare male le trote e fare quello che ho fatto.

Sul palco e al cinema: come sarà il suo nuovo film, «Natale all'improvviso»?
Con me, sotto la regìa di Francesco Patierno, reciteranno Nino Frassica, il mago Forest e tanti bambini. Sarà un film per ragazzi con uno stile preciso, ben calibrato. Negli anni passati al cinema si sono visti Natali di tutti i tipi: vi assicuro che questo avrà il suo perché.

Intanto ha fornito la sua opera di doppiaggio per l’adventure movie animato «Il Mostro dei mari» con la regìa del premio Oscar Chris Williams, su Netflix dall’altro ieri. Nel capitano Crow, un uomo di mare ossessionato dalla sua guerra, anche personale, contro i mostri, è facile rivedere Achab, immortale figura di Moby Dick. Achab è metafora di tante cose nella vita, come l’ossessione di una missione… Oggi sarebbe bello diventare gli Achab della difesa dell’ambiente.

Ha condiviso l’impegno nel doppiaggio col suo amico Claudio Santamaria.
Sì. Io e Claudio purtroppo stavolta abbiamo doppiato separati. Ma avevamo già fatto un film insieme, «Tutto il mio folle amore». C’è un grande affetto tra noi, sia come persona sia come artista.

Il mostro dei mari è una storia con grandi temi d’attualità, dal rispetto per il prossimo all’amore per l’ambiente che non può non diventare una missione di tutti, al giorno d’oggi.
È il mio pensiero costante. Si deve agire sul clima, non è più tempo di parlare e basta. Il punto dal quale partire è senz’altro l’acqua. Anche alle previsioni del tempo, bisognerebbe iniziare a cambiare i toni, sorridendo quando si annunciano piogge e diventando seri quando si dice che ci sarà il sole... Anche così forse la gente inizierebbe a capire come stanno le cose. Una tragedia come quella della Marmolada mi auguro possa portare di più le persone a comprendere la situazione: bisogna evitare che si arrivi a un disastro planetario. I prossimi saranno anni fatti di desalinizzatori, di raccolte della pioggia e di aggiustamenti della rete idrica. Nonostante questo, tutti gli italiani sanno che c’è la perdita del 40 per cento dell’acqua, ma non conosco nessuno che stia facendo qualcosa per rimediare con urgenza. Tutti sanno che l’acqua dei ghiacciai va a finire nel mare e che rischiamo così non ci sia più acqua dolce per nessuno. Ma non vedo ancora agire con decisione per evitarlo.

Un film come «Il mostro dei mari» riflette su quanto conti portare ai bambini storie di valore.
Sì. Vanno abituati fin da piccoli alla qualità e al bello. Non vedo l’ora di rivederlo con i miei nipoti. Io ricordo tutti i cartoni che vedevo da bambino. Alle elementari una volta al mese ci proiettavano un film, il primo che ho visto è stato «Il ladro di Baghdad», era in bianco e nero e mi ha affascinato. Poi mi viene in mente la bobina con le avventure di Paperino che mio padre ci proiettava in casa. Io non avevo grande simpatia per Topolino, era odioso, troppo furbo. Quelli che ci sanno fare non fanno allegria, mentre Paperino così sfortunato era formidabile.

Le nuove generazioni non crescono con l’amore per la sale. È un peccato perché il cinema sul grande schermo è fantastico, un viaggio nel tempo e nelle storie. Solo che negli ultimi anni è capitato spesso che alcuni titoli monopolizzassero gran parte della distribuzione, mentre parallelamente sono migliorate le produzioni da vedere a casa. Poi sono arrivati gli sconvolgimenti portati dal Coronavirus e la sala è stata un po’ abbandonata, purtroppo. Secondo me il film dovrebbe uscire in contemporanea in sala e a pagamento in tv. In quel caso forse gli amanti della sala tornerebbero. Ma il cinema non si può fermare, questo è sicuro. •.

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