Dinarosa, la suora coraggio che sfidò Ebola è venerabile

Suor Dinarosa (prima a sinistra), al secolo Teresina Belleri, con due consorelle
Suor Dinarosa (prima a sinistra), al secolo Teresina Belleri, con due consorelle
Suor Dinarosa (prima a sinistra), al secolo Teresina Belleri, con due consorelle
Suor Dinarosa (prima a sinistra), al secolo Teresina Belleri, con due consorelle

•• Morì di Ebola nel 1995 dopo aver scelto di non abbandonare la sua missione a Kikwit in Congo alle prime avvisaglie dell’epidemia. Ora per suor Dinarosa Belleri, originaria di Cailina, in Val Trompia, si è compiuta un’altra tappa del percorso verso la beatificazione. Papa Francesco ha infatti riconosciuto le virtù eroiche della religiosa bresciana. Operaia alla Bossini di Lumezzane, una fabbrica di bulloni di ferro, nel 1957 all’età di 21 anni Teresina Belleri era entrata nella congregazione delle Suore delle Poverelle dell’Istituto Palazzolo prendendo il nome di Dinarosa. Dopo i primi voti nel 1959 aveva iniziato a Roma la formazione come infermiera. Dopo aver ottenuto il diploma fu inviata a Cagliari, in un ospedale che curava forme tubercolari dando prova di un notevole senso pratico, senza perdere l’allegria che la contraddistingueva e il desiderio di andare, un giorno, in missione. Desiderio che si realizzò nel 1966 quando fu destinata al lebbrosario di Mosango nel Congo belga. Nel 1984 fu trasferita a Kikwit, dove continuò a dedicarsi ai lebbrosi e ai malati di Aids. In una delle sue rare lettere descrisse la situazione: 450 posti letto per circa 1200 malati, senza condutture e medicinali adeguati, con un vitto composto spesso da insetti. «Quando li vedo nutrirsi a quel modo - riferì ai familiari - mi prende una grande compassione e confronto le nostre cosiddette crisi economiche con magazzini pieni di ogni ben di Dio… Che giustizia sociale terribile e incomprensibile!». Nell’aprile 1995 nella missione furono scoperti i primi casi di Ebola. Gli operatori sanitari di Kikwit, che avevano partecipato all’intervento chirurgico su un malato grave, morirono nel giro di due settimane. Anche le Suore Poverelle ebbero una vittima: suor Floralba Rondi, morta il 25 aprile. Nei giorni successivi altre religiose furono colpite da un virus implacabile. Alla morte di suor Floralba, Dinarosa anziché interrompere intensificò il suo lavoro. Angiolina Rondi, sorella di suor Floralba e che aveva partecipato ai suoi funerali, raccomandava a Dinarosa: «Stia attenta, non si ammali anche lei che deve tornare in Italia presto». Lei replicò: «Ma io sono qui a servire i poveri; il Padre eterno mi aiuterà». Nella prima settimana di maggio cominciò a sentirsi poco bene: a nulla valsero antimalarici e antibiotici che i medici le prescrissero. Il 14 maggio morì. Un esempio di carità sconvolgente specie se messo a confronto con le paure e i risentimenti che oggi spesso segnano la vita quotidiana ai tempi del Covid. •.

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